
La candidatura di Alfio Marchini è stata bloccata dal veto di Giorgia Meloni e ha portato alla candidatura di Guido Bertolaso. Ma, a sua volta, la candidatura di Bertolaso è stata bocciata da Matteo Salvini ed ora potrebbe portare alla candidatura di un qualche personaggio scelto dalla Lega che a sua volta sarebbe bocciato dalla Meloni e potrebbe spingere la leader di Fratelli d’Italia a ripensare la propria indisponibilità a correre per Roma.
Il risultato è che al momento gli elettori che nella Capitale non hanno intenzione di votare per i Cinque Stelle e per la galassia della sinistra (Partito Democratico e sinistra radicale), hanno di fronte quattro candidati diversi (a Marchini, Bertolaso ed al candidato che uscirà dai gazebo della Lega va aggiunto anche Francesco Storace) a cui si potrebbe affiancare anche la ritrovata Meloni. E, con questo guazzabuglio di nomi, hanno anche la scoraggiante certezza che pur essendo maggioranza a Roma sono destinati ad una sicura sconfitta.
È difficile prevedere se si riuscirà a modificare questo finale apparentemente scontato. Ma è certo che quanto è avvenuto certifica due dati inconfutabili. Il primo è che il metodo della scelta dall’alto compiuta dai massimi leader delle forze dell’area moderata è clamorosamente fallito. Funzionava quando Silvio Berlusconi aveva l’egemonia dello schieramento e nessuno degli alleati aveva la forza di mettersi di traverso. Ma da quando Forza Italia non è più il partito-guida, ogni alleato rivendica il potere di veto ed i vertici ristretti non portano mai a scelte condivise.
La vicenda romana, però, non segna solo il fallimento delle scelte di vertice. Testimonia anche l’impossibilità del centrodestra di passare a scelte di base senza aver preventivamente individuato un metodo condiviso e democratico per selezionare i candidati e la classe dirigente. Le primarie fai-da-te della Lega non hanno risolto ma aggravato il problema visto che hanno suscitato le ire degli alleati ed avrebbero potuto innescare la corsa di ogni partito o fazione a mettere in piedi quattro gazebo ed a celebrare le proprie consultazioni interne destinate non ad unire il centrodestra ma a dividerlo ulteriormente.
La lezione romana, quindi, indica che se si vuole ricostruire, sia pure in maniera federativa, il centrodestra, si deve individuare preventivamente il metodo condiviso da tutte le diverse componenti dello schieramento per selezionare le candidature e la classe dirigente. Ora sappiamo che non vanno bene i metodi dei vertici ristretti e delle primarie farlocche. Per il futuro o si torna alla forza egemone che però selezioni in base alla competenza ed al merito o si passa alle consultazioni di base regolate da una legge dello Stato. Tertium non datur!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:05