Abu Omar, tra Cedu   e Corte costituzionale

Ho seguito con attenzione le discussioni sulla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – e, non dimentichiamo, delle Libertà Fondamentali – sul caso Abu Omar.

I custodi della Convenzione dicono, in sostanza, che l’ostinata opposizione del segreto di Stato dalla quale è derivata l’impunità dei colpevoli è un fatto che mina le basi di uno Stato democratico, nel quale l’accertamento delle responsabilità è condizione ineludibile per la tutela dei diritti. Argomento, questo, molto serio e del quale non possiamo non tenere conto se davvero vogliamo comprendere qual è la posta in gioco in questo e in altri casi. Di questo, dunque, dovremmo discutere.

L’idea ottocentesca, di matrice liberale, secondo la quale tutto si arresta di fronte alla ragion di Stato – che ogni cosa giustifica in nome di superiori interessi – sembra essere definitivamente tramontata di fronte ad un nuovo modo di concepire le relazioni tra i diritti inviolabili dell’individuo e le esigenze della collettività. Un chiaro esempio di questa inversione di tendenza è nella lettera stessa della Convenzione Edu (e delle Libertà Fondamentali, ripeto!), che prevede una sorta di zoccolo duro di diritti incomprimibili e irrinunciabili: quelli tutelati dagli articoli 3, 4 comma primo e 7.

Se vogliamo parlare con cognizione di causa di questo argomento e non limitarci ad una acritica adesione all’una o all’altra tesi – se prevalga la ragione di Stato o i diritti dell’individuo – non possiamo non tenere conto del fatto che gli Stati, sottoscrivendo la Convenzione hanno espressamente rinunciato al loro potere di togliere la vita, di torturare e di violare il principio di legalità. Ma, come afferma (49/2015) la nostra Corte costituzionale (non a caso oggetto di durissima censura dalla parte della Corte Edu), le attribuzioni della Corte impongono uno scrutinio che tiene conto dell’intero complesso delle norme che compongono la Costituzione e fondano l’ordinamento.

Ecco una prima risposta alle molte domande che ci dovremmo porre in questo momento: le due Corti giudicano sulla base di presupposti diversi. Ciò non significa che la Corte costituzionale, nel dirimere il conflitto tra Governo e Autorità giudiziaria, abbia operato la scelta giusta, sia sotto il profilo più strettamente giuridico, sia sotto un profilo lato sensu politico, nel dare ragione al Governo. In fin dei conti, verrebbe da dire, una scelta doveva essere compiuta - privilegiando gli interessi “superiori” dello Stato o i diritti dell’individuo - accettandone le inevitabili conseguenze. La stessa cosa, nella indifferenza generale di chi, invece, dovrebbe reagire duramente, sta accadendo in Francia, dove si discute di un progetto di riforma costituzionale che esalta il diritto dello Stato e comprime i diritti delle persone.

La ragione di Stato continua a vincere sui diritti. Vince ancora e sempre di più. Ma non è questo – soltanto – il problema da risolvere. La Corte Edu ha detto che l’apposizione del segreto di Stato alle operazioni di rendition ha impedito che si accertasse la colpevolezza dei responsabili e si applicasse la giusta punizione. Mi pare di capire che, secondo i giudici di Strasburgo, la tutela dei diritti in una moderna democrazia debba passare necessariamente attraverso il vaglio giudiziale – pubblico e nel contraddittorio tra le parti – dei fatti. Nessuna esigenza di tutela dello Stato, sembra, può giustificare la violazione di alcune libertà.

Questo ci riguarda direttamente e sarà oggetto – quantomeno da parte mia – di un preciso impegno programmatico nei prossimi mesi. Il tema di cui discutere sarà: se siamo disposti ad accettare un processo non giusto, vale a dire non conforme alle regole della Convenzione; ma, soprattutto, se, per noi, processo giusto è quello in cui nessun ostacolo può essere opposto alla tutela dei diritti incomprimibili e se siamo disposti a batterci per l’introduzione di norme di protezione condivise da tutti i Paesi aderenti alla Convenzione, declinando in questo modo il concetto di democrazia come lo intendiamo noi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:58