
La tragica vicenda di Giulio Regeni non ha provocato solo dolore per la sua morte, solidarietà per la sua famiglia e per i suoi amici e grande riprovazione per il modo in cui il giovane ricercatore è stato ucciso. Se si esce dalla dimensione umana e personale e si evita anche quella diplomatica segnata dalla inevitabilità dell’alleanza tra Italia ed Egitto anche a dispetto del governo militare del Cairo e dei suoi metodi, si scopre una terza dimensione che appare come la cartina di tornasole dello stato di confusione totale in cui vive la società italiana.
Se il caso Regeni viene preso a pretesto per sollevare il quesito su chi siano i nostri nemici, si scopre che fornire una risposta all’interrogativo appare estremamente difficile. Intanto c’è un dilemma preliminare. Esistono dei nemici per il Paese che si autodefinisce del dialogo, del confronto, dell’accoglienza e della pace? In linea di principio sembrerebbe proprio di no. Ufficialmente la società italiana nega l’esistenza di un qualche nemico. Se lo riconoscesse dovrebbe ammettere che non sempre il confronto ed il dialogo riescono a placare le ire e le pretese di chi si pone in maniera conflittuale nei confronti della nostra penisola. Ed una ammissione del genere comporterebbe automaticamente l’eventualità di non usare solo la parola per convincere gli irriducibili ma anche, sia pure in casi estremi, la forza.
Dietro l’ufficialità, però, esiste anche la realtà di convinzioni e sentimenti che non sempre possono essere contenuti. E questa realtà dice come al fondo anche il più tenace sostenitore del dialogo e della pace non ha alcuna difficoltà ad identificare chi considera un nemico. Nel caso Regeni, ad esempio, il nemico è al-Sisi ed il suo regime dispotico e gli amici sono gli oppositori di ogni specie dell’autocrate egiziano.
Non solo gli intellettuali laici e democratici che lamentano la fine della primavera araba ma anche i Fratelli Musulmani, i salafiti e tutti quelli che puntano a liquidare il successore di Mubarak per instaurare il califfato islamico. Questo significa che la società italiana considera nemico al-Sisi ed amico l’Isis? Nient’affatto. Perché non è l’intera società italiana ad apparire così orientata, ma solo una parte limitata della sua classe dirigente. In particolare la casta ristretta degli intellettuali, dei giornalisti, dei politici e dei burocrati che avendo sognato la rivoluzione in gioventù e non avendola mai realizzata si aggrappano a qualsiasi specie di rivoluzionario, anche quello islamico, pur di sperare di vedere realizzato almeno un surrogato del proprio desiderio inappagato.
La maggioranza degli italiani ha idee e convinzioni ben diverse. Ed è arrivato il momento di non lasciarsi più rappresentare dalla minoranza politicamente corretta ma tragicamente confusa.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:08