Giorno della memoria  dell’orrore delle foibe

Con esattezza non sapremo mai il numero delle vittime, di sicuro molte migliaia. Si parla di una immane tragedia per anni negata: quella degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia: la tragedia di almeno ventimila italiani massacrati nelle foibe tra il 1943 e il 1947; e di almeno 350mila italiani in fuga. Un vero e proprio olocausto, e un esodo dal sapore biblico, sempre tenuto nascosto fino al 10 febbraio del 2005, quando finalmente il Parlamento dedica alle vittime delle foibe, ed agli esuli istriani, fiumani e dalmati, una specifica giornata del ricordo.

Devono passare quasi sessant’anni prima che ufficialmente si cominci a elaborare una delle pagine più angoscianti della nostra recente storia. La storiografia ufficiale parla di almeno 5mila vittime; ma c'è chi parla di 20mila. Nella sola Istria si contano più di 1.700 foibe. Il massacro viene messo a tacere praticamente subito. Un grande silenzio, nazionale e internazionale, copre per decenni il massacro. Realpolitik, da una parte; dall'altra un Partito comunista complice, fattivo, dell'orribile crimine che si consuma.

La prima ondata di violenza esplode dopo la firma dell'armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani titini si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, gettano nelle foibe migliaia di persone. La violenza aumenta nel 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l'Istria. Fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini, sono infoibati senza pietà.

Nel 1947 Istria e Dalmazia sono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone fuggono dal terrore, si trasformano in esuli. Chi non fugge, viene perseguitato, incarcerato, deportato, ucciso. Orrore su orrore: prima della morte ci sono le torture, le sevizie: nelle fosse carsiche vengono trovate donne stuprate, uomini evirati, cadaveri decapitati. L'emblema dello sterminio è la foiba di Basovizza, alle porte di Trieste. Non è una cavità naturale, è un pozzo di 700 metri di una miniera abbandonata. Vi muoiono almeno 2.500 persone; alla fine il livello del fondo si alza a 198 metri: 500 metri cubi di corpi, poi ricoperti di detriti. Ma non si muore solo nelle foibe. Tanti vengono letteralmente annegati in Adriatico.

Trecentocinquantamila persone preferiscono la fuga alla dominazione dei comunisti, ma non tutti vengono lasciati andare via: chi ha una professione che serve al regime, si vede negato il diritto di espatriare. Per chi, pur potendo andarsene, decide di restare c’è la persecuzione, il carcere, la deportazione: una vera e propria pulizia etnica. Per quel che riguarda gli esuli, una volta giunti in Italia, sono distribuiti in oltre 100 campi profughi; e il Paese, con loro, è davvero ingrato: sono stranieri in patria, praticamente abbandonati a loro stessi, guardati con sospetto, considerati fascisti, venuti a rubare pane e lavoro agli italiani. Circa 60mila esuli si fermarono nella zona di Trieste; altri si stabiliscono nel Mezzogiorno d’Italia; moltissimi si rifugiano all'estero, soprattutto negli Stati Uniti e in Canada. Nei libri di storia contemporanea, anche quelli per le scuole, la tragedia è tuttora liquidata in poche righe. Quando va bene.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03