Da quando si è chiuso il Congresso di Venezia e la Giunta in carica si è insediata abbiamo assistito ad una interminabile serie di polemiche, di critiche e di scontri sulla conduzione dell’Unione, sulla fragilità del progetto politico e sulla debolezza, anche culturale, di alcune iniziative.
Per lungo tempo, e forse ancora oggi, si è replicato che quelle critiche non esprimevano un legittimo dissenso, ma rappresentavano il risentimento per la sconfitta congressuale, condito da un pizzico di animosità revanscista. Si è anche detto - a volte con ragione, a volte no - che la bacheca di un social network non è e non può essere il terreno di confronto più appropriato, essendo altre le sedi previste dal nostro Statuto. Può essere. È possibile, cioè, che siano vere entrambe le cose, vale a dire che non si può esercitare la funzione di opposizione soltanto attraverso gli strali lanciati in campo aperto, a meno che il social network appaia - appaia, ho detto - agli oppositori come l’unico luogo in cui far sentire la propria voce. Al pari di chiunque altro, anch’io ho il mio punto di vista. Credo che un luogo frequentato da mille iscritti non possa essere dequalificato soltanto perché virtuale; che sarebbe addirittura offensivo relegare le manifestazioni di dissenso nell’angolo delle scaramucce insignificanti. Penso, tuttavia, che il nostro “gruppo”, pur necessario, non sia sufficiente. Serve qualche cosa di più e di diverso: qualche cosa che, divulgato nella massima trasparenza, abbia, oltre che contenuti, anche conseguenze politiche idonee ad incidere sulla vita dell’Unione.
Perché i pensieri abbiano significato, insomma, occorre tradurli in azione politica. Di qui la decisione di offrire la mia disponibilità a rappresentare il dissenso, ma soprattutto ad offrire una alternativa, al prossimo congresso di Bologna. Se la democrazia è confronto dialettico tra maggioranza ed opposizione - soltanto uno sciocco potrebbe credere al consenso plebiscitario - allora è opportuno che ci si ritrovi nella sede naturale e ci si confronti sulla base dei progetti, degli obiettivi e delle iniziative politiche. Su queste cose, a mio avviso, ci si deve contare in un pubblico dibattito che offra agli iscritti una possibilità di scelta e che consenta a tutti di approvare o di respingere il consuntivo della gestione. Rompo gli indugi, poi, perché ritengo letale per la nostra Associazione continuare a discutere di mere contingenze, come se le nostri sorti potessero dipendere dalla istituzione di questo o di quell’Osservatorio o dal numero di incontri ai quali abbiamo ufficialmente partecipato. In discussione c’è molto di più e di più importante: così importante da meritare il confronto congressuale.
Dobbiamo discutere di ciò che intendiamo, oggi e per gli anni futuri, come Unione: se sia, ancora, la somma delle Camere Territoriali o se sia pronta a diventare un ente federativo con propri iscritti che, nel pieno rispetto delle autonomie locali, guarda anche all’esterno dei confini nazionali. Dobbiamo discutere di quanto sia ineludibile, oggi, istituire regole di accesso all’Unione che non siano conventiones ad excludendum, ma condizioni di adesione ideale, tecnica e deontologica. Mi piacerebbe tanto che noi, in futuro non lontano, potessimo occupare spazi mediatici in cui sottolineiamo che l’appartenenza all’Unione è garanzia di qualificazione.
Dobbiamo discutere della nostra collocazione nel nuovo ordinamento comunitario, aprendoci all’esterno e occupando spazi politici davvero incisivi. I convegni ed i corsi sono ottime iniziative, ma non ci caratterizzano: non esprimono, cioè, l’essenza di ciò che siamo. Dobbiamo discutere del ruolo nella difesa dei diritti e stabilire o consolidare relazioni con i nostri confratelli stranieri, promuovendo nuovi organismi. Non ci servono osservatori, ma persone che vadano ad osservare i processi in cui sono messi a rischio i diritti per i quali ci battiamo da sempre. La qualità scientifica della nostra produzione ha un senso soltanto se ha una precisa connotazione politica, che ci distingua dai nostri interlocutori e che occupi quegli spazi nei quali l’Accademia non può spingersi.
Dobbiamo discutere di come crescere la nostra classe dirigente del futuro, occupandoci del progressivo inserimento dei migliori - e non dei più elettoralmente utili - giovani colleghi. Per loro, io credo, ci dobbiamo sacrificare. Dobbiamo discutere dei risultati di questa gestione: senza pregiudizi, ma con attenzione agli obiettivi proclamati e non raggiunti. Fin dall’inizio ho pensato che il “lancio” del referendum sulla separazione delle carriere fosse una mera operazione finalizzata ad ottenere consenso interno. Secondo me, non ci credeva neppure chi ha fatto l’annuncio. Ebbene: queste cose capitano quando il consenso non è conseguito sulla base di progetti politici convincenti, ma di semplici alleanze elettorali. È il momento di parlare della Giunta che vorrei e di coloro co i quali vorrei condividere collegialmente i prossimi due anni (2, non 4). Viste le premesse, dico subito che mi assumo tutta la responsabilità della scelta e non chiederò a nessuna delle camere penali indicazione alcuna. Ho letto lo Statuto di Alghero e intendo rispettarlo. Niente Manuale Cencelli e nessun criterio territoriale. Giovani sì, ma non solo. Per non esporre le persone, faccio un nome solo, anzi, due, augurandomi che non me ne vogliano. Due persone che hanno dato tanto all’Unione e che potranno garantire quella continuità alla quale non intendo rinunciare: Domenico Battista, che supplico di rientrare, e Carmelo Passanisi, del cui aiuto, non meno che della sua amicizia, ho bisogno. Nessuno vince da solo o governa da solo. Io credo nella condivisione, come tutti i liberali che siano davvero tali. Ma, come liberale, dico altresì, che in democrazia qualcuno deve vincere e chi perde non governa.
Un’ultima precisazione: non voglio creare imbarazzi in nessuno, tanto meno nella Camera penale cui appartengo. Non è un gesto ostile, il mio, ma un progetto di rinnovamento. Quanto ai miei amici, dico soltanto che non li ho voluti coinvolgere direttamente in questa iniziativa per non metterli in difficoltà. Io non chiedo consensi alle Camere Penali, ma agli iscritti. Il resto, tutto il resto, lo dirò prossimamente. Lunga vita all’Unione delle Camere penali italiane.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:01