Flessibilità e balle

Come ampiamente riportato dagli organi d’informazione, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha ribadito con forza la richiesta di ottenere maggior flessibilità dall’Europa. L’argomento usato dal titolare all’Economia è stato quello delle presunte riforme epocali varate dal Governo Renzi. A suo dire, esse sono tali da meritare “una politica fiscale più flessibile”.

Ora, al di là delle chiacchiere, come mi trovo a ripetere dall’inizio della presa del potere del giovanotto fiorentino, in un Paese afflitto da un eccesso di spesa pubblica corrente, laddove solo le briciole finiscono in investimenti infrastrutturali, le vere riforme che servono sono lontanissime a venire. Ovviamente mi riferisco ad una particolare natura di provvedimenti finalizzati a ridurre il perimetro di uno Stato che è arrivato a spendere oltre il 55 per cento del Prodotto interno lordo. Provvedimenti di taglio strutturale alla citata spesa corrente che interessino i principali capitoli dell’intervento pubblico, a cominciare da una spesa previdenziale ancora da record mondiale. Si tratta però di misure dal carattere impopolare che necessitano di una visione e di un coraggio politico che sembrano mancare del tutto ad un Premier ossessionato dal consenso e piuttosto confuso sul piano economico. Un Presidente del Consiglio che, come dimostra il suo crescente isolamento in Europa, ha iniziato un braccio di ferro con le principali istituzioni comunitarie sulla base di una fallimentare e molto diffusa credenza. Ovvero l’idea che solo aumentando la spesa pubblica si possa raggiungere un accettabile livello di crescita economica. Trattasi in estrema sintesi di una ulteriore banalizzazione del principio keynesiano di far scavare buche e farle poi riempiere, aumentando il deficit statale per sostenere l’impresa. Da qui la rinnovata linea della questua europea costantemente ribadita a suon di pugni sul tavolo e, come citato all’inizio, sostenuta pienamente dal nostro superministro dell’Economia.

Tuttavia, come dimostra la drammatica vicenda delle banche italiane, il nostro sistema vive costantemente sulla soglia di un buco nero finanziario che si chiama debito. Un debito complessivo colossale che solo in virtù della nostra permanenza nella tanto bistrattata moneta unica continua ad essere adeguatamente sostenuto da tassi d’interesse molto bassi. Ma mi sembra ovvio che continuando la politica della cicala, interpretata dal bulletto di Palazzo Chigi, prima o poi la robusta armatura dell’Euro cominciarà pericolosamente a scricchiolare, con rischi incalcolabili per l’Italia. Rischi che il giocatore d’azzardo al potere non prende neppure in considerazione, preso come è da una continua smania elettorale. Flessibilità in cambio di voti sembra essere il motto del gladiatore di Bruxelles.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:30