
Il fattore di forza di Matteo Renzi, quello che lo rende inamovibile a Palazzo Chigi, non è rappresentato dai voti di Denis Verdini, dal sostegno interessato dei berlusconiani e leghisti pentiti e dall’incapacità della minoranza dem di sfuggire in qualche modo al proprio asfaltamento.
Il Premier sa benissimo che allo straordinario sostegno parlamentare dovuto al trasformismo interessato dei transfughi delle opposizioni non corrisponde un consenso proporzionale nel Paese. E che al momento del voto le grandi formazioni parlamentari verdiniane ed alfaniane non riuscirebbero a raggranellare neppure il due per cento dei consensi popolari. Ma sa altrettanto bene che di fronte al pericolo di espansione dell’Isis in Libia e nell’intera sponda meridionale del Mediterraneo centrale, né l’Europa della cancelliera Angela Markel, né gli Stati Uniti di Barack Obama consentirebbero mai la caduta del governo e lo stato di totale instabilità politica del Paese diventato l’antemurale difensivo europeo ed occidentale rispetto al califfato dell’Islam radicale.
Per troppo tempo nelle valutazioni della politica interna italiana non hanno fatto alcuna apparizione i fattori della geopolitica e della politica estera. Abituati a considerare che delle grandi questioni internazionali se ne sarebbe sempre e comunque occupato il grande alleato e protettore americano, questi fattori sono stati progressivamente dimenticati.
Come se non fossero, invece, la vera ed unica causa di stabilità (o, in qualche caso, come quello del “complotto” contro Silvio Berlusconi, di instabilità interna).
Ora, però, bisogna affrettarsi a recuperare il tempo perduto. E prendere atto che il più solido puntello del governo Renzi non è l’inconsistenza dei suoi nemici ed il trasformismo dei suoi nuovi amici, ma l’esigenza di Europa e Stati Uniti di avere un governo stabile a Roma per tutta la lunga fase che seguirà l’intervento previsto nei prossimi mesi in Libia per impedire all’Isis di conquistare i pozzi petroliferi e procedere alla destabilizzazione di Tunisia, Egitto, Algeria e Marocco. La baldanza di Renzi, dunque, non dipende da Verdini o da Alfano ma dalla consapevolezza che Merkel ed Obama hanno bisogno della stabilità del suo governo. L’auspicio è che il Premier sappia mettere a frutto nell’interesse del Paese questa straordinaria condizione di forza!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:06