Ma Renzi non è l’erede di Craxi e Berlusconi

È totalmente infondata la tesi sostenuta da Maurizio Sacconi secondo cui il premierato forte realizzato da Matteo Renzi non sarebbe altro che l’attuazione del progetto della grande riforma di stampo presidenzialista lanciato a suo tempo da Bettino Craxi e ripreso successivamente da Silvio Berlusconi.

La riforma istituzionale voluta dal Presidente del Consiglio non può essere definita in alcun modo un “premierato”. Non solo perché Renzi si è ben guardato dal definirlo tale visto che da sempre il suo partito reagisce a questa definizione gridando al pericolo fascista e denunciando la deriva autoritaria che sarebbe presente in un progetto del genere. Ma soprattutto perché qualsiasi forma di premierato realizzata all’interno di un sistema democratico ha sempre avuto, come in Israele o come in Germania, una serie di contrappesi in grado di bilanciare il ruolo rafforzato dell’Esecutivo.

Non esiste alcun contrappeso nel sistema costituito da una legge elettorale come l’Italicum, che non prevede l’elezione diretta del Premier ma solo un forte premio di maggioranza per la lista vincitrice e da una riforma del Senato che depotenzia politicamente la Camera Alta e la trasforma in una assemblea di sindaci e di consiglieri regionali espressi in larga maggioranza da una sinistra tradizionalmente egemone nelle amministrazioni locali.

In realtà il prodotto delle riforme volute da Renzi non è affatto un premierato più o meno forte, ma una sorta di regime peronista in cui esiste un “uomo solo al comando” senza nessuno in grado di frenarlo. Anche quando procede ad occupare sistematicamente con i propri amici tutti i centri di potere presenti nelle istituzioni pubbliche del Paese.

La “grande riforma” craxiana e la riforma istituzionale berlusconiana puntavano a realizzare un sistema presidenziale che rivoluzionava completamente il vecchio assetto costituzionale, ma assicurava un equilibrio tra l’Esecutivo rinforzato ed un Parlamento in cui le opposizioni non erano marginalizzate ma avevano la possibilità di esercitare il controllo democratico sull’attività del governo.

Sacconi, che pure è stato prima un socialista craxiano e poi un berlusconiano liberal- socialista, sbaglia e tradisce la propria storia nel considerare Renzi l’erede diretto dei suoi leader del passato. Lo fa per evidente convenienza politica. Ma questa ragione può favorire la comprensione, non la giustificazione. Peccato. Perché gli errori dei politici modesti si possono perdonare, quelli dei politici di qualità non hanno questa possibilità!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03