
Una delle regole non scritte della politica stabilisce che quando un capo di governo si trova in difficoltà all’interno del proprio Paese cerca di recuperare consenso denunciando la presenza di uno o più nemici esterni. La regola non vale solo per i dittatori o gli aspiranti tali, ma anche per i premier di sistemi democratici. E sembra aver trovato una perfetta applicazione in questi giorni attraverso la polemica lanciata contro l’Unione europea dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, improvvisamente convertitosi dall’appiattimento sulla linea della Merkel alla battaglia contro l’egemonia tedesca in Europa in nome dei sacri interessi nazionali italiani.
Chi ha sempre sostenuto la necessità di mantenere la schiena dritta all’interno dell’Ue e ha denunciato come la pretesa di farlo abbia provocato il famoso “complotto” costato il governo e la carriera politica di Silvio Berlusconi, non può non rallegrarsi di fronte al soprassalto di autonomia di Renzi.
Ma questa soddisfazione non può cancellare la convinzione che dietro la levata di scudi renziana non ci sia affatto una sorta di conversione all’interesse del Paese ma solo la preoccupazione di provocare, attraverso la creazione del nemico esterno, una qualche ripresa del consenso interno.
In effetti, a causa della vicenda delle banche che ha innescato un’esplosione di sfiducia popolare nei confronti del governo, Renzi sembra alle prese con una serie di difficoltà interne mai vista in precedenza. L’“uomo solo al comando” è diventato “l’uomo solo nell’arena”, che invece di dare ordini a tutti si trova a combattere contemporaneamente con tutti quelli che gliel’hanno giurata e puntano apertamente a fargliela pagare. L’elenco dei nemici del premier si arricchisce ogni giorno di più. Prima erano solo gli antirenziani del Partito democratico e le opposizioni tradizionali. Adesso, dopo un anno di governo, ci sono i sindacati, i corpi intermedi di tutti i generi e specie, la burocrazia nel suo complesso, l’intera diplomazia dopo la liquidazione di Stefano Sannino dalla Ue e la scelta di sostituirlo con un non diplomatico come Carlo Calenda e la gran parte dei vescovi italiani a causa di una legge sulle unioni civili su cui il governo si comporta pilatescamente.
Basterà al nostro premier lanciare il grido “Dio stramaledica Juncker !” per ritrovare il consenso perduto e battere, separatamente o in gruppo, i suoi nemici interni? Qualcuno incomincia a dubitarlo.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:42