Quarto: il doppio insegnamento

La vicenda di Quarto produce un doppio insegnamento. Il primo riguarda direttamente il Movimento Cinque Stelle e stabilisce che nella politica italiana nessun partito può pretendere di essere considerato il campione intemerato della legalità e della pubblica virtù. Quando un movimento perde la sua dimensione originaria ristretta e si trasforma in un fenomeno di massa, scatta inevitabilmente la percentuale fisiologica del malaffare. Che aumenta in maniera direttamente proporzionale alla crescita della fetta di potere pubblico detenuto dagli aderenti del movimento.

Nessuno dubita che la polemica scatenata dal Partito Democratico nei confronti dei grillini sia strumentale e tesa ad incominciare a “sporcare” l’immagine del Movimento Cinque Stelle in vista delle elezioni amministrative di fine primavera. Ma è altrettanto vero che quando un partito conquista amministrazioni pubbliche e supera percentuali di consenso a due cifre, le infiltrazioni dei mascalzoni diventano scontate e difficilissime da identificare e contenere.

A questo insegnamento, che non vuole rilanciare la tesi del “tutti colpevoli, nessun colpevole” ma solo prendere coscienza della realtà, se ne aggiunge un secondo molto più significativo relativo al funzionamento del sistema elettorale. Nei territori dove la criminalità organizzata è particolarmente presente, le preferenze per i singoli candidati diventano lo strumento delle diverse mafie di condizionare e piegare ai propri interessi gli amministratori ed i dirigenti politici. Non si tratta di una novità. Nelle regioni meridionali dove camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita e mafia controllano zone rilevanti il voto di scambio per interessi non legittimi ma illegali è una prassi costante. È dalla formazione dello Stato unitario che funziona in questo modo. E venire a conoscenza che anche il Movimento Cinque Stelle è stato vittima di questa malattia tipica del Meridione non può stupire e scandalizzare. Semmai stupisce e scandalizza che questo insegnamento non sia diventato in questi anni di moralismo e giustizialismo populista un’arma fin troppo convincente per riproporre il tema della pericolosità del sistema elettorale con le preferenze.

È possibile che questa esperienza possa spingere i difensori delle preferenze, tra cui figurano in prima linea i grillini, ad incominciare a cambiare idea?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:06