
Quando si è avvocato, si bada a studiare accuratamente il caso, identificare possibili motivi di difesa, trovare il modo più convincente per presentarli al giudice: tutto è concentrato sulla persona che ci si è affidata. Ma quando si è avvocato da una dozzina d’anni, e da trenta – fin dalla prima giovinezza – si è Radicale, militante e tesserata, allora per istinto si guarda anche oltre, ad un raggio più vasto della professione, al contesto in cui la si esercita.
Fin dal 2012 ho cominciato a lavorare al dossier Giustizia, aggiornandolo di continuo man mano che i dati statistici venivano messi a disposizione ed in seguito alle modifiche derivanti dai tentativi di riforma. Dapprima ho concentrato la mia ricerca sull’aspetto del grave problema rappresentato dalla condizione carceraria, indegna di un Paese civile, per la quale – sulla base dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti umani - l’Italia è stata ripetutamente condannata dalla Corte Europea, ed assieme a Rita Bernardini abbiamo predisposto un dossier che è stato inviato al Comitato dei Ministri dell’unione europea.
L’altro settore di continue condanne da parte della Corte Edu riguarda la durata irragionevole dei nostri processi. L’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sancisce che: ”Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti”. Questa norma, recepita in Italia dalla cosiddetta “Legge Pinto” prevede il risarcimento per quelle persone il cui processo sia durato più dei tempi massimi previsti dalla Convenzione (3 anni per il primo grado, 2 per l’appello ed 1 per la Cassazione). In seguito alle continue condanne provenienti dalla corte Edu, ed alle denunce continue che man mano sono state presentate, qualche riforma è stata tentata dal Governo italiano: ma si tratta di riforme inefficaci perché non incidono sulle cause strutturali del malfunzionamento dell’intero sistema giustizia, che è arrivato ad uno stadio di criticità tale da potersi definire una vera e propria emergenza sociale ed economica del nostro Paese. In particolare, a causa dell’enorme arretrato del carico processuale e dello scarso numero di giudici, la lentezza dei processi si è fatta inaccettabile al punto di provocare altre condanne dell’Italia sulla base dell’art. 6 della Convenzione dei Diritti Umani, e si è trasformata in una persistente denegata giustizia. I tribunali italiani non riescono più a far fronte all’enorme carico di lavoro arretrato ed al crescente numero di processi pendenti. Questo dossier nasce dall’analisi approfondita delle informazioni fornite dallo stesso Dipartimento Organizzazione Giudiziaria, Direzione Generale di Statistica, e dimostra lo stato della giustizia in Italia, sia civile che penale, che comporta continue condanne da parte delle giurisdizioni europea e internazionali. Per questo noi Radicali ci siamo convinti che sia dovere del Partito Radicale Trasnazionale portarlo a conoscenza del Presidente della Repubblica, nella sua qualità di garante della legalità costituzionale e primo magistrato, affinché possa essere consapevole della situazione e possa agire di conseguenza, come già fece il suo predecessore Giorgio Napolitano che inviò il formale messaggio alle Camere. Messaggio che purtroppo rimase inascoltato da parte del Governo, del Parlamento ed oggi anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, nel suo messaggio di fine anno, ha completamente ignorato i problemi della giustizia. Il ministero della Giustizia pretende che il numero delle cause pendenti sia diminuito in seguito alle riforme poste in atto.
Se ciò effettivamente sta accadendo, a mio avviso è a causa di una diminuzione dei nuovi ingressi delle cause, perché l’aumento esorbitante dei contributi unificati che si debbono pagare per poter iniziare un procedimento ha sicuramente avuto un effetto deflattivo. È poi stato preso un altro provvedimento che incide sulla durata delle cause in sospeso perché sposta in avanti la data di inizio del procedimento, ed è l’aver istituito la mediazione obbligatoria. Sono io stessa autorizzata ad effettuare mediazioni, e so per esperienza che molto raramente si consegue un risultato positivo, sicché la data di inizio del procedimento si sposta di almeno tre mesi, il tempo consentito per il tentativo di mediazione. In questo dossier ho voluto evidenziare come nonostante le rassicurazioni (provenienti dal Governo) circa una decrescita del numero dei procedimenti civili pendenti (passati dai complessivi 5.257.693 del 30.06.2013 ai 4.898.745 del 30.06.2014) le cause sono invecchiate: le cause ultra triennali nel 2013 erano il 28% del globale e nel 2014 sono salite al 32% con conseguente ulteriore aumento della violazione dell’art. 6 Cedu che sancisce la ragionevole durata dei processi; ne deriveranno ulteriori sicure condanne. L’inefficienza della giustizia, oltre ad essere un costo sociale, è fonte di costi rilevanti per l’intero sistema produttivo in termini di crescita e produttività, con procedure fallimentari sempre in aumento, fughe di imprese all’estero e assenza di investimenti da parte di imprese estere. Tutto questo ha un notevole costo in termini di denaro pubblico, a causa di uno Stato le cui istituzioni non sono in grado di rispettare le proprie leggi, e che continua a dover pagare risarcimenti alle vittime della irragionevole durata dei procedimenti senza porre rimedio con riforme strutturali tali da non subire nuove e certe condanne. La domanda è: quanti soldi pubblici ha speso lo Stato fino ad oggi per le condanne subite ai sensi della legge Pinto per risarcire le vittime dell’eccessiva durata dei processi? È diritto dei cittadini conoscere come vengono spesi i soldi pubblici, eppure non si riesce ad avere una cifra certa. Nel 2007 la Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica valutò il rischio economico per lo Stato per le future e probabili condanne ai sensi della Legge Pinto in 500 milioni di euro l’anno. Nel 2011 la Banca d’Italia indicava il costo dell’inefficienza della giustizia nella misura dell’uno per cento del Prodotto interno lordo.
All’inaugurazione dell’anno giudiziario del 2014 l’allora ministro Severino indicava un arretrato del debito Pinto ancora da pagare in oltre 387 milioni di euro, somma che, all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2015 saliva ad oltre 400 milioni di euro. Nell’ultimo aggiornamento del censimento sulla giustizia civile voluto da Mario Barbuto si parla di un debito Pinto di oltre 750 milioni di euro.
Insomma, c’è un balletto di cifre che sono certamente sottostimate in quanto bisogna tenere conto che lo Stato sta ad oggi pagando i decreti di condanna Pinto risalenti agli anni 2010-2011; pertanto bisogna considerare l’ulteriore costo in termini di interessi legali e di spese legali cui soccombe verso chi è costretto ad adire le vie legali anche per ottenere il pagamento di ciò che gli spetta. Secondo lo stesso ministero della Giustizia la posizione debitoria dello Stato verso gli utenti a causa dell’eccessiva durata dei processi aumenta di circa 8 milioni di euro al mese! Il colpo fatale ai diritti dei cittadini che hanno subito trattamenti inumani e degradanti nelle carceri, o processi di durata esorbitante, è stato inferto dalla “Legge di Stabilità” da poco entrata in vigore. Le disposizioni previste da questa legge rendono impraticabile la Legge Pinto, con una serie di prescrizioni costose economicamente e spesso impossibili da eseguire. Quello che rende molto preoccupante la situazione è il fatto che lo Stato continua a reiterare i comportamenti lesivi dei diritti umani, e rifiuta la richiesta di riforme strutturali atte a risolvere i problemi alla fonte. Lo Stato non solo non pone rimedio alla reiterazione della violazione, ma attenta al diritto dei cittadini ad ottenere il ristoro che loro spetta, come è accaduto con la legge di stabilità che ha apportato tali e tante modifiche alla Legge Pinto da renderla pressoché inaccessibile. Chi subisce lesione dei propri diritti da parte dello Stato italiano oltre al danno ha anche la beffa.
Il dossier vuole essere una forma di collaborativo dialogo con le massime istituzioni perché si possa ottenere un rientro nella legalità del nostro Stato, che lo riporti al rispetto della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. Questo si potrà attuare innanzitutto con un richiamo dei magistrati fuori ruolo, al fine di ridurre l’arretrato delle cause ultra triennali, perché il rispetto della legge rappresenta anche il rispetto dei cittadini.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00