P.A.: la riforma a rischio autoritario

In nome della semplificazione, del risparmio e dell’efficienza le aziende pubbliche, tranne quelle di grandi dimensioni, non avranno più pletorici e costosi consigli di amministrazione ma amministratori delegati destinati a gestire le rispettive società in piena e totale solitudine. La nuova fase della riforma della Pubblica Amministrazione parte con un obiettivo che sulla carta sembra fatto apposta per raccogliere consensi e plausi da parte della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica. Chi potrebbe mai contestare un programma come quello firmato da Marianna Madia che stabilisce di eliminare gli sprechi e di moltiplicare la rapidità e l’efficacia delle decisioni?

Dietro lo scontato e facile entusiasmo, però, si nasconde qualche preoccupazione di non poco conto. La prima è che le aziende pubbliche a guida monocratica possono guadagnare in rapidità ed in risparmio, ma rischiano di perdere in termini di riflessione e di analisi. La vulgata anticasta ha imposto la tesi che i vertici ampi sono il frutto della lottizzazione e servono esclusivamente a buttare i soldi dalla finestra. Il ché in tanti casi è vero. Ma è altrettanto vero che accanto a lottizzazione e sprechi ci sono anche esperienze e competenze che possono risultare indispensabili. E c’è, soprattutto, quella suddivisione di responsabilità che, all’insegna dell’antico adagio popolare dei più occhi capaci di vedere meglio di due, può garantire il controllo della corretta ed oculata gestione delle aziende pubbliche.

La seconda preoccupazione è invece di ordine politico. L’idea di riprodurre nel sistema delle società pubbliche il modello dell’“uomo solo la comando” adottato (senza alcuna formale modifica costituzionale) al governo del Paese, rischia di trasformare la parte pubblica dell’economia nazionale in una filiera di gerarchi al servizio non delle aziende o del bene pubblico ma dell’“uomo solo al comando” collocato alla guida del governo nazionale.

Il timore, in sostanza, è che la riforma della Pubblica Amministrazione rientri in un disegno complessivo di involuzione autoritaria delle istituzioni che, con la scusa dei risparmi e dell’efficienza, sia diretto a ridurre i margini di democrazia e di libertà del Paese.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:07