FI: quale futuro

Anno nuovo, polemiche vecchie. Non abbiamo ancora saggiato questo 2016 che già Forza Italia è sotto attacco della stampa di regime. Circolano sui media notizie circa una presunta crisi di nervi tra i dirigenti del partito azzurro per un prognosticato sforamento al ribasso della soglia-limite del 10 per cento alle prossime elezioni comunali. Il vaticinio sulla débâcle forzista sarebbe opera della “Lorien Consulting”. Stando all’istituto che si occupa di ricerche di mercato, Forza Italia sprofonderebbe al 9 per cento dei consensi. Forse. Perché comunque si tratta di sondaggi e come tali da prendere con le pinze. La sconfitta che si prospetta a fine primavera avrebbe spinto Silvio Berlusconi a valutare l’ipotesi del ritiro del simbolo dalla corsa alle amministrative come avviene sulle piazze borsistiche quando si sospende un titolo per eccesso di ribasso. La strategia messa a punto ad Arcore consisterebbe nel disperdere il partito all’interno del fitto reticolo delle liste civiche locali, ciò allo scopo di contenere il danno d’immagine conseguente a una batosta secca.

Naturalmente i big forzisti, primo fra tutti Renato Brunetta, si sono affrettati a smentire la circostanza confermando invece che Forza Italia ci sarà e farà fino in fondo la sua parte. E ci mancherebbe! Tutto si può fare ma non scappare. E poi dove sta scritto che la sconfitta sia inevitabile? A dispetto dei sondaggi, che hanno il poco invidiabile primato di non azzeccarci mai, questa nuova fase della politica italiana si apre offrendo al partito azzurro l’opportunità di una seconda vita dopo un periodo d’indubbia eclissi, vissuta in contemporanea con la crisi politica e umana che ha colpito il suo leader.

Non è esatto dire che dal 2013 in Forza Italia si siano prodotti soltanto terremoti e smottamenti. I tanti che se ne sono andati cambiando bandiera, e padrone, hanno consentito al partito di ritrovare una dimensione che è radicata all’interno della sua “mission” costitutiva. Archiviata la fase della “marmellata” grazie alla quale era possibile tenere insieme tutto e il contrario di tutto, oggi il movimento berlusconiano può ridisegnare l’offerta politica in modo più coerente con la sua natura di partito della destra italiana. Parliamo di una destra moderna, liberale e ragionante, che fa diga alla tracimazione di espressioni estremistiche e violente vive e vegete nelle sue articolazioni protestatarie e anti-democratiche. Se, in passato, si è sbagliato la colpa non è stata quella di rivendicare una collocazione definita nel sistema bipolare. Piuttosto l’errore lo si è commesso consentendo, con troppo facile ottimismo, che linea politica del partito la condizionassero personaggi, che per storia personale e retroterra ideologico, di destra non sono mai stati. Come Fabrizio Cicchitto e Sandro Bondi, non a caso oggi carpentieri iperattivi nel cantiere renziano centrista, a blanda risoluzione socialdemocratica. Si continua a ripetere ossessivamente, in una sorta di autodafé riparatorio, che negli ultimi anni si sono persi per strada milioni di voti. Ma non ci si chiede con sufficiente convinzione del perché ciò sia accaduto. Perché non si è stati abbastanza aperti a sinistra? Perché sono stati scontentati i moderati?

Piuttosto che arrampicarsi sugli specchi di improbabili e avventuristiche analisi, non sarebbe più salutare limitarsi alla semplice constatazione che gli elettori, prima di ogni altra cosa, vogliono essere certi di sapere chi sono e come la pensano quelli a cui stanno dando il voto? Il vero male del centrodestra morto e sepolto è di avere barato sulla propria identità. Se oggi ci si propone, come è giusto che sia, di risalire la china bisogna darsi un compito: dire la verità agli italiani su dove s’intenda portare il paese nel futuro. Prima la coerenza! Poi il resto seguirà.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:39