Le favole di chiusura   del giovane Premier

Come era scontato che accadesse, il Premier Matteo Renzi ha sommerso i giornalisti intervenuti alla sua conferenza stampa di fine anno con un fiume di parole ad effetto, sostenute dalle immancabili slides.

Si è trattato di un lungo e insopportabile bla-bla-bla finalizzato ad infiocchettare i risultati, a mio avviso, molto deludenti di un signorino che aveva promesso miracoli in ogni settore. Stringi stringi, l’intera valanga di ottimistiche valutazioni espresse da Renzi si è incentrata sul quel più 0,8 per cento di crescita parziale, che l’Istat sarà chiamata verificare nel prossimo mese di marzo, che oramai costituisce il suo più sostanzioso elemento propagandistico. Una crescita striminzita la quale, mi permetto di ricordare, segue anni di calo verticale del Pil italiano e che rappresenta un piccolo rimbalzo favorito essenzialmente da una favorevole quanto provvisoria combinazione di fattori esterni, tra cui il Quantitative easing messo in campo dalla Banca centrale europea e il crollo del prezzo delle materie prime.

Oltre a ciò, cosa rilevata da pochi osservatori, in questo modesto rialzo bisogna considerare la sfilza di mance e mancette elettorali erogate dallo stesso Presidente del Consiglio, le quali concorrono nominalmente a far lievitare di qualche frazione il medesimo prodotto interno lordo, ma contestualmente aumentano un indebitamento pubblico colossale, ancora finanziabile solo in virtù della nostra appartenenza alla tanto bistrattata zona euro.

Sul piano strutturale, invece, niente è stato fatto in prospettiva per ridurre la deriva di un Paese che ha continuato anche nel 2015 a vivere sotto la campana di vetro di un paternalismo di Stato che costa troppo e che deprime le sempre più ridotte capacità produttive - quelle che per intenderci creano cose che qualcuno è disposto liberamente ad acquistare sul mercato - del nostro tessuto economico. I grandi capitoli della spesa pubblica italiana non sono stati neppure sfiorati dall’uomo dei miracoli e questo, come dimostra la sua raccapricciante manovra finanziaria tutta in deficit, impedisce di alleggerire nei fatti e non con le chiacchiere una pressione tributaria allargata insopportabile.

Ora, se vivessimo in un Paese politicamente evoluto, soprattutto dopo decenni di un catastrofico assistenzialismo di Stato, i magrissimi risultati sbandierati da Renzi, in rapporto alle sue roboanti promesse, avrebbero dovuto già dovuto decretarne la caduta. Ma questo non è finora avvenuto a causa di una oramai cronica mancanza di una seria alternativa politica. Tant’è vero che, al di fuori degli avventurismi grillini e lepenisti, l’Italia sembra sempre più refrattaria a costituire una rappresentanza politica strutturata che si basi su un diffuso senso della responsabilità individuale, vero antidoto contro ogni forma di populismo demagogico. Da questo punto di vista, il tanto vagheggiato partito liberale di massa sembra destinato a restare nel libro dei sogni anche nel 2016.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11