Populismo “intestino”:   l’elogio della pancia

Salvatore Tramontano, in un articolo pubblicato su “Il Giornale”, ieri l’altro, fa una scoperta interessante: “Saper parlare alla pancia della gente non è così brutto come vogliono far credere i commentatori di sinistra”. Verrebbe da dire: benvenuto a bordo! Da un pezzo sosteniamo che sarebbe ora di smetterla con questa insopportabile retorica anti-populista, targata sinistra radical-chic. Non è possibile che ogni volta che si parli della quotidianità di milioni di persone si rimedino giudizi, resi alla stregua d’insulti, del tipo: il populismo è buono per la pancia delle persone. E se pure fosse, che male ci sarebbe?

La sinistra mal pensante è riuscita a rovesciare la realtà cercando, con un certo successo, di convincere gli italiani che vi sia un collegamento diretto e perverso tra il messaggio politico populista e l’apparato intestinale delle persone. Non solo. Il mainstream del “politicamente corretto” attribuisce alla pancia la funzione di instrumentum regni, utile alle ideologie populiste per sopraffare il buon senso inoculato dal razionalismo nella storia dell’umanità. Pur di sostenere la fallacia di questa equazione, l’odierna sinistra si è reinventata gnostica; si è fatta paladina di una visione duale dell’esistenza modellata sulla lotta escatologica degli inconciliabili: la ragione contro il bisogno, la mente contro la pancia.

È sufficiente leggere ciò che sostiene Michele Salvati sul Corriere della Sera di domenica scorsa per farsi un’idea. A proposito di populismo, egli scrive: “Uno dei pochi caratteri comuni a tutti i populismi è... quello di proporre politiche molto popolari allo scopo di ottenere un facile consenso elettorale, politiche all’apparenza favorevoli alla gran massa della popolazione, ma che poi non possono essere sostenute dal reddito del Paese e sono incompatibili con i vincoli europei e internazionali”. Ma che cavolo è diventata questa sinistra che non sa fare più il suo mestiere? Ora, non si tratta di mettere in discussione il sacro principio delle élite, piuttosto c’è da capire quale sia, nelle dinamiche Unione europea-Stato nazionale- società, l’interesse prevalente da tutelare e come si stiano formando le classi dirigenti deputate a guidare i popoli europei nella direzione dell’innalzamento della qualità della vita individuale e collettiva. Il problema della legittimazione delle élite non è un fattore trascurabile in un sistema democratico. A chi rispondono esse? Ai soli elettori che le esprimono, alle comunità territoriali da cui nascono o ai poteri forti, annidati nelle articolazioni dell’ultimo capitalismo globale, che tendono a condizionarle mediante la leva della speculazione finanziaria?

La questione del “parlare alla pancia” rinvia all’allegoria narrata da Menenio Agrippa. Sono trascorsi 2500 anni da quando l’apologo fu pronunciato. Ma è sempre bello. E attuale. Il tribuno di Roma aveva capito molto più di quanto i nostri politici riescano a comprendere oggi: nella trasposizione metaforica, lo stomaco non rappresentava i cittadini ma l’élite patrizia. La plebe era invece l’insieme delle braccia, delle gambe, della mente e del cuore dell’unico organismo umano. Chi produce e lavora, chi pensa e progetta, chi crede e combatte, chi soffre e gioisce è il popolo di cui anche la classe dirigente è parte. Solo parte, non il tutto. Parlare, dunque, alla pancia, alla mente e al cuore non è un atto deprecabile. Piuttosto costituisce il tentativo di rianimare un’idea, antica e nobile, di “politeia” radicata in una visione della democrazia della cittadinanza autoctona, che rispecchia il fondamento greco-romano della nostra cultura. Ora, visto che la sinistra ha abdicato alla sua “mission” costitutiva, perché mai la destra dovrebbe vergognarsi di praticare una politica identitaria che sia del popolo, con il popolo e per il popolo? Se è così che stanno le cose, allora: Viva la pancia! E la mente. E il cuore. E tutto il resto!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12