La lezione spagnola che serve all’Italia

Con il voto della scorsa domenica gli spagnoli hanno dato una grossa mano ai popoli europei a fare chiarezza sul presente e, probabilmente, sul futuro dell’Unione. Per i media iberici il loro Paese si è “italianizzato” nelle urne. E non vuole essere un complimento. In realtà, è stato un modo spiccio per dire che il tradizionale bipartitismo che aveva caratterizzato la vita istituzionale della Spagna del dopo- Franco è morto e sepolto.

Il responso delle urne, benché abbia dato un vantaggio al Partito Popolare di Mariano Rajoy (28,7 per cento e 122 seggi in Parlamento), non ha decretato un vincitore definitivo. Il Psoe del fotogenico Pedro Sànchez è secondo con il 22 per cento e 90 seggi. Ma ciò che sorprende, ma non troppo, è la valanga che si è scatenata in contemporanea a sinistra con il movimento protestatario “Podemos” che ha conquistato il 20,7 per cento accaparrandosi 69 deputati e, a destra, Ciudadanos, il partito della cittadinanza, che con il suo 13,9 per cento si consolida in Parlamento con 40 rappresentanti.

Nessuna forza politica ha, dunque, la maggioranza di 176 membri che le consentirebbe di governare. Cosa vuol dire? Che le forze tradizionali dovranno fare blocco per evitare di tornare nuovamente alle urne in primavera. Di fatto la Spagna si prepara a virare verso il modello della “Grosse Koalition”. Ma è una soluzione che non durerà. Perché ciò che sta capitando in Spagna, come in Europa, non riguarda la contrapposizione ideologica tra le categorie novecentesche di destra e sinistra, ma interpreta l’inedita dicotomia tra un partito dell’austerity, subordinato alla visione del mondo riplasmata a misura della Germania della Cancelliera Angela Merkel, e quello, ideologicamente trasversale, dell’Europa dei popoli e della coesione sociale, intra ed extra-statuale.

Domenica, in Spagna, si è riproposta la medesima condizione già vissuta in Grecia, in Polonia, in Francia e in Italia. Mariano Rajoy se si consegnerà all’accordo con la sinistra socialista sotto la stella dell’obbedienza cieca ai diktat di Bruxelles offrirà alle opposizioni l’assist giusto per convincere i propri connazionali che con questa Europa non si va da nessuna parte. Sarà questione di tempo ma prima o dopo il tanto temuto populismo prenderà il potere segnando una nuova era per la partecipazione attiva della cittadinanza alla vita pubblica. In Italia siamo allo stesso punto: o si è con Bruxelles e con la Merkel o si è contro.

Certo, non saranno i motti di spirito di un pavido Matteo Renzi a riscattare la dignità calpestata dell’Italia nell’ambito dell’Unione. Ma lo scenario spagnolo si riverbera anche sul futuro del centrodestra nostrano. Forse è stata sottovalutata la dimensione del dramma che si sta consumando nel partito di Silvio Berlusconi. Il conflitto ontologico in cui è precipitata Forza Italia ha un presupposto: non si può continuare a tenere un piede in due staffe. La conseguenza che ne deriva non lascia dubbi: o si sta con Matteo Salvini e la destra di popolo che guarda agli ultimi o si fa il partito della nazione, per compiacere i poteri finanziari e l’establishment di Bruxelles. Se Berlusconi dovesse optare per questa seconda strada non dovrebbe sforzarsi di cercare un leader perché il campione del “blocco al centro” c’è già e si chiama Matteo Renzi.

Ora, è lecito chiedersi: è questo che vorrebbero gli elettori di Forza Italia? Una storia di vent’anni che è stata anche il sogno di una rivoluzione liberale e la speranza di un mondo fondato sulla giustizia sociale può risolversi in un incolonnamento a seguito delle torme di sbandati e disertori guidati da Angelino Alfano e da Denis Verdini? In linea di principio nessun individuo sano di mente desidererebbe morire servo di qualcun altro, senza neppure averlo deciso. Allora il voto spagnolo serva di lezione per gli incerti e i pavidi delle nostre lande. Scegliere da che parte stare si può. Si deve.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:17