Dio c’è! E anche il Centrodestra

Vivaddio! Anche i sondaggisti scoprono l’acqua calda. Ieri l’altro il signore dei numeri de “La7”, Fabrizio Masia, ha annunciato in diretta televisiva che, nelle intenzioni di voto degli italiani, il centrodestra è praticamente alla pari con il Partito Democratico ed è sopra al Movimento Cinque Stelle.

Ma c’era qualcuno che dubitasse di ciò, anche prima della “scoperta” del sondaggista? È del tutto naturale che la ricomposizione dell’asse Forza Italia-Lega Nord-Fratelli d’Italia determini il consolidamento dell’area alternativa alla sinistra attualmente signoreggiata da Matteo Renzi e dai suoi gregari. Solo un accorto piano di comunicazione mediatica, studiato a tavolino, ha potuto fino a questo momento spacciare per protagonisti di un neo-bipolarismo “2.0” il partito-sistema renziano e il movimento antisistema grillino, facendo credere agli italiani che la destra si fosse liquefatta e fosse scomparsa dai radar della politica nazionale. Si è trattato di un ballon d’essai messo ad arte in circolazione per creare quella disinformazione della quale la sinistra è da sempre maestra.

La logica dei cervelloni di stanza al Nazareno è intuibile: ai fini elettorali, per facilitare l’accesso a un ballottaggio comodo, meglio concentrarsi sull’ individuazione di un nemico apparente, come sono quelli del “Cinque Stelle” in grado di fare molto fumo ma poco arrosto, piuttosto che accreditare come avversario reale il centrodestra, che costituirebbe il vero pericolo per le ambizioni di permanenza al potere di Matteo Renzi e soci. Ragionamento che non fa una grinza. Questo gioco degli specchi deformanti finora ha funzionato alla grande anche grazie, bisogna ammetterlo, alle incertezze, agli scivoloni e agli errori compiuti dai partner del centrodestra. Dall’ultimo passaggio elettorale, nel 2013, in troppi a destra si sono distratti perdendo di vista l’elemento decisivo che forma il discrimine tra la vittoria e la sconfitta: l’unità della coalizione. Sostenere che solo il fare squadra permetta al centrodestra di tornare a governare il Paese è un postulato della politica, avallato dalla storia di questi ultimi venti anni. Ma bisogna essere chiari. Non bastano i numeri; le somme aritmetiche non sono fatte per garantire la qualità del patto di governo da proporre agli elettori. L’unità di cartello ha bisogno di essere innanzitutto attendibile, altrimenti scade in propaganda sterile e fuorviante.

Su questo terreno, il vecchio leader Silvio Berlusconi ha avuto qualche difficoltà ad adattarsi. Lui, uomo d’azienda avvezzo alla ferrea logica dei costi e dei profitti, ha spinto per aggregazioni senza preclusioni imbarcando, in improbabili avventure, tutto e il contrario di tutto. Tuttavia, le delusioni patite a cagione dell’umana debolezza, l’hanno convinto che l’unità non possa essere conseguita a ogni costo e che esclusioni, anche dolorose, vadano compiute in nome del più qualificante valore della coerenza etica e politica. Ora, è ipotizzabile che la ritrovata intesa generi effetti positivi destinati a ripercuotersi sui comportamenti del potenziale bacino elettorale del centrodestra, oggi in buona parte ritiratosi nei territori dell’astensionismo. Vedremo se i sismografi delle agenzie di sondaggi rileveranno, nei prossimi giorni, variazioni positive in tal senso. Sarebbe interessante mettere a confronto i numeri, sebbene virtuali, del consenso attribuito al centrodestra e la percentuale di rilevazione dell’astensionismo.

Bisognerebbe riscontrare tra i due dati una diretta correlazione: all’aumento del primo dovrebbe corrispondere un decremento del secondo. Se così fosse avremmo certezza di un’antica convinzione: ciò che ha fatto fuggire gli elettori dal centrodestra è stato il più pericoloso dei virus che la politica conosca: l’ambiguità. Lo hanno compreso i leader e lo stanno accettando anche i dirigenti politici più recalcitranti: con chiarezza e coerenza si torna vincenti. Quant’è vero Iddio!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10