
“Ce n’est qu’un début, continuons le combat” (È solo l’inizio, continuiamo la lotta). Questa era la parola d’ordine della protesta studentesca, passata alla storia come il “Maggio francese”.
Oggi, a quasi cinquant’anni da quei giorni rivoluzionari, terribili e appassionanti, lo stesso slogan potrebbe essere brandito da Marine Le Pen e dal suo Front National. La scorsa domenica, è vero, i ballottaggi non le hanno consegnato alcuna presidenza; nessuna delle 13 macroregioni sarà governata da un lepenista; socialisti e repubblicani di Nicolas Sarkozy, hanno fatto diga spuntandola ancora una volta. È stata la sconfitta della destra radicale? Di là dagli esiti finali che possono essere bugiardi per l’innaturale rimescolamento dei voti socialisti con quelli del centrodestra neo-gollista, la realtà che il voto amministrativo ci restituisce è ben altra. Marine Le Pen, grazie alla progressiva azione di penetrazione nella coscienza profonda della Francia, è riuscita a convincere almeno un elettore su tre. Nel discorso di ringraziamento, Marine ha messo a fuoco la sua visione politica: la destra e la sinistra sono categorie superate, il futuro sarà segnato dalla lotta tra mondialisti e patrioti. Questa è stata certamente la leva che ha consentito alla destra radicale di evolversi riuscendo a scardinare gli steccati ideologici nei quali era tradizionalmente costretta dalla politica revanscista del padre-fondatore del Front Nazional, Jean-Marie Le Pen, ormai giubilato dalla nuova classe dirigente del partito.
Marine ha ruotato l’asse ideologico della destra orientandolo verso il problema del domani che è riassumibile in una domanda: gli Stati del Vecchio Continente saranno in grado di governare la globalizzazione o continueranno a subirla? Nella risposta è contenuto il futuro non solo della destra francese ma di tutti i movimenti sovranisti che si organizzano in Europa. Italia compresa. La rinuncia della socialdemocrazia continentale a sostenere elementi di giustizia sociale e di equa redistribuzione della ricchezza nelle politiche dell’Unione ha spianato la strada al trasversalismo della nuova destra populista.
Non esiste una porzione d’Europa che avverta nostalgie novecentesche, piuttosto la crisi dell’attuale modello europeo si origina nell’evoluzione ultima del capitalismo che sta mancando di generare il benessere diffuso promesso. L’aumento di povertà, l’allargamento insostenibile della forbice sociale, la rottura del patto di coesione comunitaria ne sono dirette conseguenze. Ciò che le leadership prodotte dalla “grosse koalition” popolare-socialista, guardiane del nuovo ordine economico-sociale, si ostinano a non comprendere è che un modello fallace lo si riforma o lo si abbatte.
Ora, non soltanto la Francia ma tutte le urne europee segnalano che politiche liberiste incondizionate, decurtate di adeguati contrappesi equitativi, non debbano essere più subìte passivamente. In alternativa all’espansionismo delle governance tecnocratiche sovranazionali, la prospettiva che propone la Le Pen di una riappropriazione della dimensione statuale della politica e dell’economia, sebbene appaia antistorica, nella sostanza della vita quotidiana attrae perché viene percepita come la rivitalizzazione di uno “spazio protettivo” per le comunità autoctone colpite dagli effetti devastanti della globalizzazione. Disoccupazione, desertificazione industriale e immigrazione incontrollata in testa. I partiti della sinistra tradizionale e del centrodestra moderato, invece, rispondono alla domanda di sicurezza, nella sua accezione più ampia, facendo muro.
Ma resta purtuttavia una risposta miope, di corto respiro, destinata a non reggere nel tempo. Se qualcuno ancora immagini di etichettare il caso francese come pietra d’inciampo posta dalla “Reazione” sul fulgido cammino del Progresso, è completamente fuori strada. Dalla scorsa domenica c’è una novità nel panorama europeo non più trascurabile: si chiama tendenza Blu Marine.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12