La “leopoldizzazione” del Pd e del Paese

Ancora non ha una definizione il nuovo modello di Partito Democratico che Matteo Renzi intende realizzare trasformando le vecchie sezioni in circoli, dove la vita associativa si dovrebbe svolgere nello stile della Leopolda. Ma non c’è bisogno di troppa fantasia per trovare questa definizione. Basta prendere atto del modello di vita associativa che si realizza negli incontri annuali realizzati a Firenze su iniziativa del Premier. E concludere che mettere insieme eccellenze ed ottimati legati a Renzi non dal tradizionale rapporto politico costituito dalla comune tessera del Pd ma da un rapporto strettamente personale, significa realizzare un modello granducale o da corte medicea rinascimentale.

Può essere che a spingere Renzi a puntare su questo modello siano le sue radici toscane. E che al fondo i suoi ispiratori siano genericamente il Granduca di Lorena o la famiglia Medici. Ma è assolutamente sicuro che, a parte ogni suggestione legata alle origini regionali, il criterio ispiratore della trasformazione del Pd nel partito della Leopolda nazionalizzata sia quello comunemente definito cesarista. Cioè il criterio in base al quale la selezione della nuova classe dirigente, che si riunisce nelle sezioni divenute tante Leopolde sparse sul territorio, non avviene in nome della condivisione dei valori ma è in nome della fedeltà e della vicinanza al principe, al signore, al granduca o, nella versione moderna, al leader ed al Premier.

Qualcuno sostiene che la “leopoldizzazione” del Pd da parte di Renzi segue un processo di trasformazione delle tradizionali democrazie europee diretto a rinforzare al massimo il ruolo di chi ha il compito di guidare il governo del Paese in un tempo in cui servono decisioni rapide e non contraddittorie. Secondo questa tesi, l’attuale Presidente del Consiglio non farebbe altro che andare avanti lungo la linea del leaderismo avviato da Bettino Craxi e realizzato da Silvio Berlusconi.

In realtà, la leopoldizzazione del Pd segna un balzo in avanti. Perché il leaderismo del Cavaliere era ed è l’espressione dei valori condivisi tra il “capo” ed i propri elettori ed iscritti al proprio partito. Era ed è, in sostanza, un leaderismo democratico. Quello di Renzi non prevede minimamente la condivisione dei valori ma, secondo il modello delle corti rinascimentali, prevede solo il rapporto personale tra il “capo” e la sua corte. E non è un leaderismo democratico, ma un leaderismo mediceo o granducale. Ci può essere una qualche compatibilità tra il sistema democratico, sia pure corretto con il rafforzamento dell’Esecutivo, ed il sistema in cui l’unica forte di legittimazione della classe dirigente è quella che promana dal Granduca?

La risposta è scontatamente negativa. Ma, prima che a darla fosse il Paese, spetterebbe al Pd esprimerla apertamente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:18