È troppo tardi per far   ripartire l’economia

Alla vigilia della due giorni di mobilitazione del Partito Democratico, il segretario Matteo Renzi ha scritto una lunga lettera agli iscritti nella quale ripropone pari pari la stessa pappardella trionfalistica che ci propina ad ogni occasione pubblica. Ovviamente non poteva mancare la frase forse più ripetuta da quando il politico fiorentino si è installato nella stanza dei bottoni: “l’Economia finalmente si rimette in moto”. Definizione la quale, in realtà, contrasta maledettamente con i suoi ossessivi richiami alla fiducia espressi, evidentemente, all’indirizzo di un Paese che non sembra proprio corrispondere alle fantasticherie di un personaggio che, certamente bravissimo a capitalizzare consensi, mostra una certa confusione nel comprendere le basi più elementari dello sviluppo economico.

E quand’anche, come recitava un’antica pubblicità del mitico Carosello, la fiducia sia di per sé una cosa seria, essa da sola non può certamente bastare a risollevare un sistema letteralmente schiacciato da un fardello politico- burocratico che lo stesso Presidente del Consiglio ha contribuito ad aggravare con la sua politica di spese pazze in deficit. L’Italia, tanto per fare un esempio significativo, spende in pensioni il doppio, dicasi il doppio della media dei 34 Stati che aderiscono all’Ocse. Ciò significa, in estrema sintesi, che la nostra capacità produttiva risulta eccessivamente penalizzata da un folle meccanismo di redistribuzione che non ha certamente messo in piedi Renzi.

Tuttavia, ciò non toglie che un vero statista, realmente intenzionato a far ripartire il Paese, non può prescindere da una linea coraggiosa che vada proprio ad intaccare questo ed altri fondamentali nodi sistemici, giocandosi naturalmente grandi fette di popolarità. Ma una simile politica necessita di almeno due fattori fondamentali: il tempo di almeno una intera legislatura e una chiara visione sul da farsi.

Ora, mancando circa due anni alla scadenza naturale della legislatura, mi sembra evidente che nessuno rischierebbe di giocarsi tutto il consenso conquistato in un’impresa titanica di riduzione del perimetro pubblico, tagliando seriamente la spesa e la tassazione, senza la possibilità tecnica di consentire al popolo di far sperimentare i benefici a lunga scadenza di una siffatta politica.

Inoltre, ed è qui che casca definitivamente l’asino, un uomo che dall’inizio della sua avventura di Governo ha puntato tutto sull’effetto psicologico di una sorta di training autogeno basato sull’ottimismo della volontà, distribuendo a pioggia pacche sulle spalle e mancette elettorali dimostra di non avere i numeri per imprimere una vera svolta all’Italia. Quando si scambia la produzione di consensi con la produzione di valore aggiunto, perché in definitiva è questo che conta in economia, non si fa molta strada.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:13