Le tre anomalie del caso Minzolini

Ci sono tre gravi anomalie nella vicenda di Augusto Minzolini. La prima è che è stato condannato, dopo essere stato assolto in primo grado ed avere avuto una sentenza contraria in Appello senza alcun esame di merito, per aver adoperato una carta di credito aziendale della Rai in quanto direttore del Tg1 il cui uso non aveva avuto in precedenza alcuna definizione. Si dirà che un conto è l’uso ed un altro conto l’abuso. Ma chi definisce il confine tra l’uno e l’altro quando non c’è una regola che lo fissa? La prassi o i comitati etici che spesso si creano nelle Procure delle Repubbliche sulla spinta di masse ottusamente giustizialiste?

La seconda anomalia è ancora più grave. Perché nel collegio della Cassazione che ha condannato a due anni e mezzo Minzolini figura un giudice che, nelle precedenti legislature, è stato esponente di spicco del Partito Democratico e di alcuni governi della sinistra. Qualcuno ha osservato che l’ex politico rientrato in magistratura è solo uno dei tre componenti del Collegio della Cassazione. Ma si tratta di una osservazione che non cambia di un millimetro l’anomalia del caso. Perché non è solo il singolo magistrato a dover essere “terzo” e non di parte, ma l’intero collegio giudicante. E la circostanza che a giudicare Minzolini ci sia stato un suo dichiarato avversario politico rientrato in magistratura dopo anni di presenza in Parlamento e nel governo rappresenta uno dei più gravi vulnus alla credibilità della giustizia italiana.

La terza ed ultima anomalia riguarda la storia professionale del senatore di Forza Italia. Fino a quando è stato un giornalista de “La Stampa”, giornale della Fiat e del “salotto buono” di chi conta in Italia, è stato riverito, coccolato ed esaltato come il miglior cronista politico italiano. Divenuto direttore del Tg1 è stato bollato come “berlusconiano” e sottoposto ad una persecuzione mediatico-giudiziaria il cui effetto ultimo si è verificato proprio la scorsa settimana. Queste tre anomalie saranno inevitabilmente il motivo per un ricorso alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. Ma prima di assistere all’ennesima ricerca di un “giudice a Berlino” per raddrizzare le storture del nostro sistema giudiziario sarebbe bene che qualcuno si facesse carico in Italia di una questione che non penalizza ingiustamente solo una persona ma offende e squalifica la giustizia del Paese. Penso al Senato, dove i componenti di Palazzo Madama non dovrebbero votare per la decadenza di Minzolini per non diventare corresponsabili della persecuzione ai suoi danni. Ma penso anche al Csm, che non dovrebbe rimanere inerte di fronte ad un caso così eclatante di inquinamento della giustizia da parte della politica.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:15