Not in our name

Ma questo Matteo Renzi a chi vuole darla a bere? L’Italia, nelle sue intenzioni, dovrebbe restare alla larga da ogni azione diretta a colpire, sul campo siriano, gli scarafaggi dell’Is perché si rischierebbe, una volta conseguito l’obiettivo, di replicare il disastro libico o quello iracheno. È uno scherzo, o cos’è? Non possiamo immaginare che il nostro premier sia talmente somaro in questioni di geopolitica da confondere contesti totalmente diversi. Presupponendo, invece, che chi ci governa conosca le differenze è lecito chiedersi del perché di tanta trepidazione. È forse un problema di paura? Può darsi. Renzi teme, schierando le nostre forze armate in prima linea, vi poterebbe essere una reazione del nemico che gli elettori italiani non capirebbero. È comprensibile che un politicante attento alle curve dei sondaggi si faccia prendere dai dubbi.

Tuttavia, l’orizzonte visivo di uno che punta a restare in sella come massima aspirazione del suo operato politico non è quello di uno statista. Cosa che Matteo Renzi non è. Bisogna avere stoffa buona per mettere gli interessi di bottega dietro a quelli di lungo respiro del Paese che si governa. Gli statisti veri è ciò che fanno anche quando rischiano l’impopolarità. Ma Renzi può consolarsi nel non sentirsi solo nella lista delle mezze cartucce transitate per Palazzo Chigi. In realtà l’Italia, nella sua storia repubblicana, di giganti ne ha visti pochissimi. Piuttosto, ha conosciuto una schiatta di doppiogiochisti che sono riusciti nel complicato mestiere di tenere i piedi in tutte le staffe possibili. Di stare con gli uni e con gli altri contemporaneamente, in modo da non scontare nessuno e, alla fine, riuscirne a trarre qualche scampolo di beneficio.

Negli anni della guerra fredda siamo stati filo-atlantici me non abbiamo fatto dispiacere i sovietici. Al tempo delle guerre arabo-israeliane, eravamo con Tel Aviv ma stringevamo patti con i palestinesi. Lo ricordate il famigerato “Lodo Moro” degli anni Settanta? Sempre negato dai governi ma poi smascherato da quel buontempone di Francesco Cossiga che, verso la fine della sua esistenza, aveva deciso di non tenersi niente e di spifferare tutto. Ebbene, proprio a quel patto scellerato ci viene da pensare quando sentiamo il nostro giovanotto in comando fare il tiepido. Allora fu l’osannato Aldo Moro a stringere un accordo con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Il patto prevedeva che il nostro apparato di sicurezza avrebbe chiuso un occhio sul transito di armi verso il Medio Oriente che i terroristi palestinesi si procuravano in Europa per colpire civili e militari israeliani, in cambio dell’assicurazione che non vi sarebbero stati attentati sul nostro suolo. Il contratto ha funzionato per molti anni. Peccato che una delle clausole escludesse la protezione dei cittadini italiani di fede ebraica, come ricordano molto bene i parenti del piccolo Stefano Gaj Tachè che perse la vita il 9 ottobre del 1982 nell’attentato alla Sinagoga di Roma o di quei 15 italiani di fede ebraica e israeliani che furono uccisi, il 27 dicembre 1985, allo scalo della El Al all’aeroporto di Fiumicino. A questo punto ci sorge un sospetto: non è che dietro alla fuga dalle proprie responsabilità Matteo Renzi nasconda l’idea di rispolverare il “lodo Moro” da proporre agli scarafaggi dell’Is? È per questo che non si ha il coraggio di mettere mano alla crisi libica? Forse non si vuole disturbare l’occulto manovratore Jihadista, che se la gode in uno dei sontuosi palazzi delle mille e una notte mediorientali? Sappia Renzi che un tradimento del genere verso chi si assume l’onere di estirpare il cancro del nuovo millennio getterebbe il disonore sul nostro Paese per decenni. Non lo faccia parandosi dietro il pretesto di pensare al bene degli italiani. Non parli per noi. Not in our name.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 18:21