Il razzismo politicamente corretto

C’è un fondo di razzismo politicamente corretto nello stupore di chi non comprende il perché le ragazzine marocchine di Varese non partecipano alla commemorazione dei morti di Parigi. Lo stesso razzismo politicamente corretto di chi protesta per i fischi dei tifosi turchi nel minuto di silenzio per le vittime degli attentati terroristici avvenuti nella capitale francese. Chi si stupisce e chi protesta non si rende conto di esprimere con il proprio comportamento un pregiudizio di stampo prettamente razziale. Quello che lo porta inconsciamente a pensare che i propri morti siano diversi e più meritevoli di commemorazione dei morti degli altri. E lo siano perché europei e civilizzati mentre gli altri sono arabi ed ancora fermi ad una religione barbarica.

La cultura politicamente corretta dominante nel mondo occidentale è talmente intollerante dal non capire che commemorare le vittime del terrorismo senza tenere in alcun conto dei civili uccisi in Siria dalle bombe francesi, russe e americane assume agli occhi delle comunità islamiche un significato razzista inaccettabile. Soprattutto perché chi piange a senso unico lo fa in nome di valori di pace universale che per primo viola e piega ai propri interessi contingenti.

Prendere atto che il razzismo politicamente corretto occidentale produce una reazione identitaria nelle masse islamiche, in particolare in quelle presenti in Europa, non significa giustificare in alcun modo la reazione terroristica ai pregiudizi ed al malcelato neocolonialismo di alcuni Paesi europei. Significa, al contrario, prendere coscienza che lo scontro di civiltà e di culture in atto non consente più di coltivare ipocrisie ed ambiguità. Riconoscere le ragioni degli altri serve a meglio chiarire le proprie. E, nel nostro caso, serve a comprendere da quale parte stare a dispetto degli errori infiniti e delle indiscutibili colpe del mondo a cui indissolubilmente si appartiene.

La speranza, ovviamente, è che i mondi in conflitto riescano a tornare dialogare, a convivere, ad integrarsi reciprocamente in pace ed in nome della reciproca tolleranza. Ma non è l’ambiguità di chi predica la pace ma butta le bombe o di chi condanna il terrorismo ma commercia e fa affari con i suoi mandanti, che potrà mai concretizzare una speranza del genere.

Ammettere il conflitto significa dare dignità ai propri avversari.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 18:06