La legge, non la vendetta

Come sarebbe bello se tutti coloro i quali, in questi giorni, parlano di guerra, di stato di guerra in difesa di questo o di quest’altro riflettessero su quello che dicono. Sarebbe bellissimo, se accadesse; sarebbe, anche, utile se si verificasse, perché sarebbe una dimostrazione di ragionevolezza e di equilibrio, di cui si avverte la necessità soprattutto nei momenti di crisi.

Un gruppo di terroristi ha barbaramente trucidato circa 130 persone e ne ha ferite molte di più. I nomi di quei morti vanno tragicamente ad aggiungersi ad un elenco interminabile di persone che ha subìto la medesima sorte. Erano persone come noi, con un lavoro, una famiglia, dei sogni da realizzare, degli amori da vivere; erano esseri umani, titolari di diritti, tra i quali primeggiava quello alla vita.

E noi, per difendere il diritto alla vita, proclamiamo la guerra. Intendiamoci sulle parole, prima di tutto, dando a Cesare quello che è di Cesare. Molti vogliono soltanto vendetta. Ci può stare, visto che uno dei principi del Diritto internazionale è il principio del cosiddetto Tu quoque. Tu fai una cosa a me, io faccio una cosa a te, magari con gli interessi. Ma è vendetta e resta vendetta anche se ci arrovelliamo per sostenere che agiamo in difesa dei nostri valori. Non mi risulta, infatti, che i nostri valori contemplino il massacro indiscriminato del nemico. 

La seconda questione riguarda l’applicabilità dei concetti di nemico e di guerra. Qui, ci guida la Costituzione, che utilizza la locuzione “guerra” secondo l’accezione classica e non come sinonimo di operazione di polizia internazionale. La guerra è il confronto tra entità che si riconoscono reciprocamente e si combattono. Noi non riconosciamo Isis e conduciamo un confronto multimodale: in Siria, bombardiamo; in Europa, inseguiamo terroristi.

Quello che avviene in Europa non è e non sarà mai guerra. Ci opponiamo ad un nemico che si annida nelle pieghe della nostra società e ci colpisce in modo non convenzionale, facendo ricorso ad attentati, stragi, violenza che non sono, tecnicamente, atti di guerra. Chi commette quei fatti, se catturato, subisce un processo. Chi uccide in guerra, se non supera i limiti convenzionali, non è punibile. Non è guerra, ma noi, alcuni di noi, vogliamo che lo sia. Per ammantare di nobiltà la morte che infliggiamo? Per giustificare giuridicamente condotte altrimenti illecite? Forse.

Una ragione inconfessabile, però, potrebbe essere la più vera e la più corretta. La legalità democratica impone dei vincoli che non sopportiamo più e dei quali vogliamo liberarci. Tanta è la rabbia per il torto subito che siamo disposti a rinunciare proprio a quei princìpi che vorremmo riaffermare e difendere.

  Fate attenzione. Sono già apparsi all’orizzonte coloro che invocano misure eccezionali. Dicono di essere disposti a rinunciare ad un pezzo (quale? Il boccone del prete?) della nostra libertà per vincere una guerra che guerra non è. Dobbiamo reagire, magari anche sul piano militare. Ma qui vale l’imperio della legge e soprattutto le garanzie della Costituzione.

Se davvero non siamo come loro, noi dobbiamo chiedere ai nostri governi di agire con equilibrio e senza spirito di rivalsa, in vista della composizione di questo anomalo conflitto. Dobbiamo pretendere che la sia la politica a guidare le nostre azioni e non il fragore delle armi. Noi siamo civili; quei criminali, no. Non dimentichiamolo. Rieccoli. Quelli del Patriot Act sono tornati. Questa volta parlano per bocca di Paolo Guzzanti, il quale, analizzando i recenti tragici fatti, sostiene che, trattandosi di guerra, tollerare un controllino sui nostri sms è, tutto sommato, un prezzo accettabile, perché - parole sue - potremo continuare a recarci a mangiare la pizza.

Eccoli qui. Li aspettavo. D’altra parte, loro, sono sempre pronti. Pronti a dire che quei criminali (ho detto: criminali) non meritano un processo, meno che meno garanzie e che noi ben possiamo accettare l’intrusione nella nostra vita per salvare il nostro stile di vita. Ho detto proprio questo: intrusione nella nostra vita per salvare lo stile di vita. Non la vita. Il che mi porta subito a dire che la sopportazione auspicata da Guzzanti non serve a nulla: non salva le vite. Non salva le vite - e lo sappiamo, visto che la realtà è sotto i nostri occhi - ma compromette i diritti. Ecco il vero danno dei terroristi. Non solo massacrano, uccidono, calpestano i diritti più elementari. Inducono anche noi a farlo. Ci rendono uguali a loro.

Mi spiace. Continui pure a fare le sue analisi politiche, senatore. Continui pure a dire tutto ciò che crede, fino a quando uno come lei non le dirà che, per vincere la guerra, bisogna adeguarsi al pensiero unico. Io ero, sono e sarò garantista anche per lei. Anche con loro. I diritti non si negoziano. Non per mangiare la pizza, almeno. Lunga vita alle Camere Penali.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12