Le quinte colonne del multiculturalismo

Alla scuola elementare “Matteotti” di Firenze, il dirigente scolastico Alessandro Bussotti, in esecuzione di una delibera del consiglio interclasse, ha annullato la visita della sua scolaresca alla Mostra di Arte Sacra allestita a Palazzo Strozzi con la seguente motivazione: “venire incontro alla sensibilità delle famiglie non cattoliche verso il tema religioso della mostra”. Oggetto del disagio sarebbero le opere di Picasso, Van Gogh, Fontana, Munch. Oltre alla “Crocifissione bianca” di Chagall.

Probabilmente a sconvolgere preside, insegnanti e taluni genitori solerti è stato proprio il dipinto di Marc Chagall, pittore ebreo di origine russa dotato di una capacità di visione talmente profonda da spingersi nel 1938 – anno di composizione dell’opera- in piena fase d’espansione dell’odio antisemita, a fondere nel quadro elementi della tradizione cristiana ed ebraica, fino ad allora ritenuti inconciliabili. Ma non è la prima volta che incrociamo situazioni analoghe. Ora, non si tratta di essere bacchettoni o beghine. Il sentimento religioso c’entra fino a un certo punto. I simboli della cristianità sono un riferimento anche per i non credenti. Il percorso attraverso il quale quei simboli si sono sedimentati nella storia delle generazioni ha condotto a riconoscerli come stratificazioni di un’identità comunitaria.

Quei simboli, dunque, producono effetti oltre il confine della scelta di fede per cui chi vuole entrare in contatto con la coscienza profonda del popolo italiano deve accettarne la funzione altamente coesiva. Non può sentirsene offeso o diminuito, perché se cosi fosse dovrebbe avere il buon gusto di togliere il disturbo. Invece, il multiculturalismo militante propugna un rovesciamento della realtà, spacciando per norma di tolleranza un veleno per le coscienze. Pacifismo a oltranza, odio per le differenze, disconoscimento delle frontiere e resa incondizionata alle altre civiltà, anche a quelle più aggressive e ostili alla nostra, sono i sintomi di questo avvelenamento. Come altrimenti sarebbe possibile concepire di infliggersi una simile negazione d’identità, se alla base non vi fosse un desiderio di autoannientamento culturale? La fotografia del presente è presto fatta.

Mentre vi è chi combatte, in giro per il mondo, con la maggiore ferocia possibile per imporre il trionfo della propria civiltà, sul versante occidentale vi sono i “buonisti” per i quali la soppressione dei simboli identitari costituisce la fase propedeutica alla sostituzione dei valori tradizionali con il nuovo credo multiculturalista. E la storia e l’arte sono luoghi privilegiati di deposito dei quei valori. Giacché storia, arte e musica non si possono cancellare, se non facendole esplodere con la dinamite, il “politicamente corretto” di questa puteolente ondata di demenzialità decide di sottrarle allo sguardo delle giovani generazioni. Non siamo guerrafondai, purtuttavia ci ripugna la sola idea di darla vinta a questa mala genia di traditori.

Difendersi dai nemici esterni è un dovere sancito dalla Costituzione della Repubblica. Nondimeno andrebbe redatta una postilla alla Carta da dedicare all’opera di questi illuminati progressisti che formano nei fatti le quinte colonne del nemico entro i confini della nostra quotidianità. Pensare che esista un’umanità disponibile ad affratellarsi in un unico afflato pacifista è oppio ad uso delle menti fragili. Fino a prova contraria, come insegnava Carl Schmitt, esistono amici e nemici. Gli amici si frequentano, i nemici si combattono. Con tutte le armi disponibili. Come fa il nostro eccellente apparato di sicurezza e come dovremmo fare noi chiedendo a gran voce che quel gentile signore venga rimosso dal suo incarico di dirigente scolastico perché, se le bombe dei terroristi fabbricano morte, il multiculturalismo dei buonisti provoca macerie.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14