
Matteo Renzi ha impostato la sua campagna per le elezioni amministrative di primavera puntando su due fattori. Da un lato sui soldi a pioggia da destinare a Roma, Milano e Napoli, cioè alle città il cui risultato elettorale più può incidere sulla legislatura. Dall’altro sull’esaltazione della presunta uscita dalla crisi, testimoniata dall’aumento considerevole dei contratti a tempo indeterminato realizzati grazie alle riforme.
Ma sullo straordinario aumento delle assunzioni pesa il fatto che il fenomeno non nasce da un’effettiva ripresa dell’economia e della produzione, ma solo dagli sgravi fiscali che vengono assicurati agli imprenditori che assumono e che sono a totale carico dello Stato. E sui soldi a pioggia a Roma, Milano e Napoli grava come un macigno la circostanza che proprio in queste città le divisioni interne del Partito Democratico minacciano di vanificare tutti gli effetti delle elargizioni di stampo elettoralistico.
Il boom delle assunzioni rischia di diventare un boomerang per il Premier. Non solo perché il tasso di disoccupazione è rimasto sostanzialmente invariato (i neo-assunti di oggi erano gli assunti-precari di ieri), ma perché nel prossimo anno gli sgravi fiscali verranno diminuiti per evitare l’aggravamento del debito pubblico e la riduzione dei contributi a carico dello Stato avrà come doppio effetto la diminuzione delle assunzioni e la preoccupazione di chi si chiederà quale potrà essere la propria sorte quando gli aiuti pubblici cesseranno del tutto. È vero che si vota nella prossima primavera, ma la paura di poter essere licenziati tra uno o due anni può scattare con largo anticipo.
Ancora più grave è l’effetto delle vicende come quella di Marino a Roma e di De Luca a Napoli e, in generale, delle profonde spaccature esistenti nel Partito Democratico. Nessuno è in grado di prevedere come Renzi possa risolvere la questione politica sollevata dalla vicenda del Governatore della Campania. Ma è certo che questa storia, così come quella di Ignazio Marino a Roma, non potrà non riflettersi sulle elezioni amministrative nelle due città. Il Presidente del Consiglio, in sostanza, rischia di perdere sia a Roma che a Napoli per gli errori commessi quando ha passivamente avallato le candidature del “marziano” e dello “sceriffo”. Ma corre il pericolo di perdere in tutte le altre città, a partire da Milano e Torino fino ad arrivare a Bologna, perché la micro-scissione guidata da Stefano Fassina può togliere al Pd una percentuale minima ma determinante per il risultato elettorale.
Chi pensa che un eventuale insuccesso generalizzato alle Amministrative spinga Renzi a gettare la spugna sbaglia di grosso. Perché il Premier è tignoso e gode di troppi sostegni interni ed internazionali per uscire di scena prima del tempo. Al massimo cambierà la legge elettorale, passando dal premio alla lista a quello alla coalizione!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:17