La paranoia di Renzi

Le iniziative prodotte a destra e a sinistra nell’ultimo week-end hanno provocato un serio mal di pancia al Premier. Nell’impeto della reazione, Matteo Renzi non ha saputo fare di meglio che risuscitare, dagli archivi impolverati della Prima Repubblica, la teoria degli opposti estremismi. A sentirlo sembrava Mariano Rumor. Da Riyadh, dove è volato per andarsi a prendere il merito, non suo, della costruzione della Linea 3 della metropolitana della capitale araba - l’opera è stata commissionata alla italiana Salini-Impregilo, impresa presente in Arabia Saudita dal 1966 - Renzi ha evocato lo spettro della “doppia spallata”. Vi sarebbe da ridere se non fosse in gioco il destino del Paese.

Il giovanotto, che sente franare il terreno sotto i piedi, s’inventa di punto in bianco un tentativo concentrico di rovesciamento del suo governo. L’operazione avrebbe preso corpo sull’improbabile asse Roma-Teatro Quirino/Bologna-Piazza Maggiore, ad opera dei fuoriusciti del suo partito riunitisi alla pattuglia dei vendoliani da un lato, e della coalizione di centrodestra, dall’altro. Obiettivo: farlo fuori politicamente. E così la normale dialettica democratica diventa, nello storytelling renziano, killeraggio politico. Deve essere messo proprio male il nostro Presidente del Consiglio se, per difendere la sua deludente azione di governo, sia costretto a fantasticare di complotti e di manovre eversive. Fare opposizione, checché ne pensi lui, non è attentare alle istituzioni democratiche della Repubblica; al contrario, è irrobustirle.

In realtà, la combriccola di Palazzo Chigi non riesce a fare breccia sul territorio. E il timore di subire una scoppola alle prossime Amministrative è grande. Allora quale miglior modo per accreditare la propria centralità, che in politica si traduce con insostituibilità, se non evocare la minaccia di forze disgregatrici che, se avessero la meglio, ricaccerebbero il Paese nel buio della crisi e della povertà? Era la logica della vecchia Democrazia Cristiana, è la pubblicità della marmellata etichettata “Partito della Nazione”. Renzi sogna di convincere gli italiani ad esorcizzare ciò che lui giudica estremismi di destra e di sinistra in nome di una pacifica convivenza sociale che sarebbe, invece, garantita dal suo progetto politico neo-centrista. Negli anni Sessanta-Settanta dello scorso secolo quest’operazione riuscì alla D.C., perché si rivolgeva ad un’Italia profondamente diversa da quella attuale. La Democrazia Cristiana, partito interclassista, godeva della prerogativa di rappresentare l’unità dei cattolici in politica. Con l’avvento della Seconda Repubblica, questa presunzione è stata sepolta; anche le classi sociali non sono più identificabili come un tempo. Negli anni Sessanta il Paese era alle prese con il boom economico, mentre ora stenta a ritrovare la strada della ripresa produttiva. C’erano la Guerra Fredda e il muro di Berlino che, nel frattempo, è caduto. Lo spirito democratico e il capitalismo hanno dilagato ben oltre i confini della cortina di ferro, per cui l’Italia non è più l’avamposto di frontiera del mondo libero da difendere con qualsiasi mezzo dalla minaccia proveniente da Est.

In quegli anni, teorizzare gli “opposti estremismi” poteva avere senso; oggi, la storiella della “doppia spallata” di cui blatera Renzi è solo un patetico tentativo di confondere le acque per concedersi una prova d’esistenza in vita. Il simpaticone vuole buttarla in caciara? Si accomodi pure. Ma rischia di buscarle se è vero che tra elettori che si astengono, quelli che votano Movimento 5 Stelle, il centrodestra e ora anche la nuova sinistra, c’è la maggioranza del popolo italiano, mentre il suo “centrino” al potere è piccola cosa. Sarà perché sono tutti sovversivi o, probabilmente, un problema di misunderstanding tra governo e paese reale esiste davvero? Come direbbe l’inossidabile Gigi Marzullo: si faccia la domanda e si dia la risposta, signor Renzi.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 18:21