Radicali Italiani, chi vince e chi perde

Spero sia consentito prendere la parola ad un perdente, un militante pannelliano che, al recente Congresso dei Radicali Italiani, svoltosi a Chianciano tra il 28 ottobre e il primo novembre, è stato sconfitto, insieme alla sua parte, nelle votazioni finali sulla mozione generale e sulle nomine agli incarichi per il 2016.

Di solito, si dice, la storia la scrivono i vincitori, io sono però convinto che la storia della vicenda che mi coinvolge è, nei suoi tratti sommari, quella che cercherò di delineare in queste righe, e che invece quel che ne racconteranno i vincitori sarà mera cronaca, destinata ad essere presto dimenticata, nella sua insignificanza. E allora, per entrare in argomento: io non ho partecipato a quelle votazioni, il loro risultato era scontato - o almeno largamente prevedibile - già da un paio di anni. Si dirà: ma che c’è di strano? I congressi si fanno per questo, per votare sulle mozioni e sugli incarichi, chi vince vince e chi perde perde. D’accordo: però quello che è accaduto a Chianciano non è un semplice ricambio interno alla classe dirigente, ma piuttosto ha rappresentato – come hanno tenuto a dichiarare alcuni esponenti del gruppo vincitore – una vera e propria “svolta”. Una svolta che, com’è stato riconosciuto da alcuni, ha stravolto i connotati, le caratteristiche e forse la stessa ragione politica dei Radicali Italiani, cosicché si può dire che più che di svolta si debba parlare di una “rivolta”.

Una rivolta contro che, o contro chi? In primo luogo, dichiaratamente, contro la linea politica tenuta ferma e costante negli ultimi anni e ribadita, già nella convocazione del Congresso, dalla allora segretaria Rita Bernardini. Poi, anche se ostentatamente negata, una rivolta contro Marco Pannella: qualcuno, esponendosi un po’, ha persino affermato di non riconoscere più Pannella come leader e di vederlo relegato al ruolo di semplice suggeritore, non più di “guida”, come etimologicamente indica il termine – dal verbo inglese “to lead” che significa, appunto, “guidare”.

“Io propongo – era l’incipit della relazione politica della segretaria dei Radicali, Rita Bernardini – che l’obiettivo del XIV Congresso sia quello di sostenere all’Onu - con un nostro diretto, forte impegno e adeguate lotte - la battaglia già incardinata per la transizione verso lo Stato di Diritto attraverso l’affermazione del diritto umano alla conoscenza, contro la Ragion di Stato. Ed è all’Italia (che vogliamo divenga finalmente consapevole di sé, dei suoi limiti e delle ferite da decenni inferte alla democrazia ed ai diritti umani) che noi intendiamo affidare la leadership della campagna alle Nazioni Unite, cosicché la sua candidatura - già avanzata - a membro del Consiglio di Sicurezza, non sia la scontata occupazione di un posto di potere, ma abbia il respiro di una strategia politica per il futuro”.

A questo obiettivo di fondo, Rita legava il proseguimento della campagna per mettere in piedi, anche attraverso la via giurisdizionale esercitata in Italia e presso le Corti e i Tribunali internazionali ed europei, una forte “requisitoria” per far esplodere la consapevolezza della involuzione antidemocratica delle istituzioni e della classe politica italiane. Le due campagne, nella loro saldatura, costituivano (e costituiscono) un progetto politico unitario e unico, di enorme ambizione, tale da collocare il soggetto che se ne faccia promotore al centro del dibattito in corso, più o meno esplicitamente, nel mondo: un mondo che, in Occidente non meno che nei Paesi emergenti o in Asia, è sempre più in deficit di democrazia.

È stata costante ambizione dei Radicali affrontare i grandi temi del nostro tempo alla radice, nelle loro ragioni teoriche profonde. “Sia chiaro – punualizzava ancora Rita Bernardini – l’obiettivo che propongo al dibattito congressuale dei Radicali Italiani è al cento per cento anche italiano. È il governo italiano che vogliamo e dobbiamo convincere perché faccia propria la campagna per la transizione verso lo Stato di Diritto (...). Dobbiamo ottenere questo risultato, non solo grazie alle interlocuzioni che Pannella ha avuto e ha con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni (...). Dobbiamo sempre più ora, attraverso le nostre articolazioni territoriali e tematiche e lottando contro la disinformazione del sistema, far sì che la battaglia divenga obiettivo conosciuto, capito e condiviso dai cittadini”.

In alternativa, Riccardo Magi ha sostenuto invece che sia necessaria e urgente “una campagna per la riconquista dello spazio necessario per essere soggetto politico alternativo in questo Paese”. In conseguenza, proseguiva Magi, “il Congresso afferma che le città sono le realtà sociali maggiormente investite da trasformazioni che portano con sé disagi e conflittualità, cui non vengono tuttavia accompagnate soluzioni di governo. Sono al contempo lo scenario in cui, in particolare nella realtà italiana, il sistema dei partiti sta mostrando segnali di grave crisi o di vera e propria implosione per l’incapacità di esprimere una classe dirigente all’altezza delle sfide di governo”.

Tra le righe, è chiaro che l’obiettivo essenziale dei Radicali Italiani guidati da Magi per il 2016 sarà la partecipazione alle elezioni amministrative, a Roma, a Milano (con Marco Cappato, nuovo presidente dei R.I.), a Napoli, ecc. I due obiettivi – alternativi tra loro – non sono nemmeno comparabili in spessore e incisività: i Radicali hanno avuto, nella loro storia, molti consiglieri comunali, a Roma come a Catania, a Milano, a Trieste, ecc., non mi pare si possa dire che è attraverso questa strada che si siano imposti come grande forza riformatrice. Non è attraverso qualche consigliere comunale che si può, come Magi ha sostenuto, “recuperare per i Radicali Italiani il diritto ad essere considerati un interlocutore politico”. Lo stesso argomento venne sbandierato da Capezzone e dai tanti che negli anni hanno scelto la via della scorciatoria. Sappiamo che fine hanno fatto. Tutti, senza eccezione.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11