Tavecchio, un passo indietro e uno avanti

Giunge notizia che il presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, Carlo Tavecchio, avrebbe apostrofato, nel corso di una conversazione privata, un ebreo con l’epiteto di “ebreaccio”, aggiungendo che ciò nonostante egli non ha nulla contro gli ebrei. Inoltre, egli avrebbe detto che dagli omosessuali preferisce star lontano, in quanto si ritiene normalissimo. Apriti cielo!

Le vestali dell’indignazione in servizio permanente ed effettivo si sono subito mobilitate all’unisono, decretando che Tavecchio deve fare “un passo indietro” – come oggi si ama dire – perché si sarebbe fatto conoscere quale omofofo e addirittura antisemita. Questa vicenda fa riflettere su quanto sia pericoloso vivere in questo clima odierno in Italia, per una serie di motivi che espongo in modo assai breve: preciso che preferisco non addentrarmi nel merito della questione trattata da Tavecchio, sia perché non la conosco, sia perché mi pare del tutto indifferente in relazione alle osservazioni che intendo proporre.

Primo. Come accade che una conversazione privata, privatissima, quale senza dubbio era quella di Tavecchio, possa essere resa di pubblico dominio? Com’è possibile che in Italia non sia possibile mantenere un minimo di riservatezza quando si parla con un amico, con un conoscente o con un collega? Non si capirà mai fino in fondo come ciò sia possibile e come sia possibile che nessuno si indigni per questo: sarebbe più sensato, invece di farlo per i contenuti delle telefonate o delle confidenze improvvisamente diventate pubbliche. Secondo. Come è possibile che non si ritenga lecito che ciascuno a casa propria pensi ciò che gli garba e dica ciò che si sente? Com’è possibile cioè che siamo giunti al punto che si vuole indirizzare, controllare, sorvegliare, censurare addirittura il pensiero e non la semplice espressione del pensiero?

Siamo allora in presenza della più pericolosa delle dittature, quella che non si accontenta di impedire o di censurare la libertà di manifestazione del pensiero – come era consuetudine delle tirannidi tradizionali, antiche e moderne – ma che intende penetrare l’anima delle persone, impadronirsene, giudicarla, punirla, se ne sarà il caso. Infatti, ciò che a casa sua, parlando con le persone amiche o con i familiari, Tavecchio o chiunque altro affermi o sostenga, fosse pure la più enorme corbelleria o la più nefanda delle tesi, è pubblicamente irrilevante: al massimo, potrà essere di interesse per un eventuale biografo che, fra alcune decine d’anni, voglia accingersi a comporre la biografia di lui (cosa di cui peraltro fortemente dubito) o di chiunque altro.

Per la vita pubblica, per quella istituzionale, ciò che conta è soltanto ciò che pubblicamente, nell’esercizio delle sue funzioni, Tavecchio sostenga, scriva, proclami: null’altro. E ciò vale anche se fra la parola pubblica e quella privata si potesse registrare una differenza, pur seria e palpabile (cosa che peraltro in questo caso pare non esserci).

Siamo al punto che occorrerà battersi per difendere la libertà del pensiero, del puro pensiero, di quello soltanto pensato ed appena sussurrato ai familiari mentre si sorbisce la mattutina tazza di caffè. Il Grande Fratello si aggira ormai, ignoto, fra tutti noi? Provvede già – non visto – a redigere le liste di proscrizione?

E infine: come mai, con cadenza quasi periodica, Tavecchio – proprio Tavecchio – viene attaccato per ciò che dice o per ciò che non dice? Chi e perché ha interesse a fargli fare “un passo indietro”? Se c’è e se ne ha il coraggio, si mostri, faccia “un passo avanti”!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10