
Il famoso video del furgone di Bossetti che passava davanti alla palestra di Yara è stato “adattato” per motivi di “comunicazione istituzionale”. Parola del comandante del Ris, Giampiero Lago, che, incalzato dalle domande della difesa di Massimo Giuseppe Bossetti nell’aula di Corte d’assise dove nel più vergognoso silenzio dei media si sta celebrando il processo indiziario per l’omicidio di Yara Gambirasio, deve ammettere la circostanza.
E nessun giornale italiano o quasi rilancia la cosa in prima pagina. Come invece meritoriamente ha fatto domenica scorsa “Libero”, in un preciso articolo di Luca Telese. Che, oltretutto, semplicemente narrando ciò che è avvenuto in aula ha fatto un’ulteriore scoperta di come non si dovrebbero svolgere le indagini su delitti così efferati in Italia: la storia tanto sbandierata delle sferette di metallo trovate sui vestiti della povera vittima e fatti risalire ad una permanenza nel furgone di Bossetti potrebbe essere un’ulteriore bufala mediatica.
Le comparazioni con altri ragazzi dell’età di Yara sono state fatte con figli di ufficiali dei carabinieri di zone diverse da Brembate e non hanno perciò alcun valore statistico e scientifico. In pratica, a Brembate forse potrebbe esser significativo che un giovane di tredici anni abbia un minore quantitativo di quelle sferette microscopiche nei vestiti poiché non è stato prigioniero, come si suppone per Yara, in un furgone dove nei sedili ce ne stavano migliaia. Ma se il ragazzo con cui si fa la comparazione lo prendi in un’altra zona?
Non basta: il Pubblico ministero in aula, alla faccia dell’obbligo di ricerca della prova dell’innocenza dell’imputato, vista la mala parata non aveva ritenuto di inserire il video di cui sopra, quello taroccato, tra le prove da fare esaminare alla Corte d’assise. E ha fatto di tutto per opporsi a che si parlasse di questa brutta storia. Il video doveva servire solo per “esigenze di comunicazione”, come ha affermato senza battere ciglio il colonnello del Ris in aula, non era una vera prova.
D’altronde questa è la dimostrazione che ormai esistono due processi paralleli, quello mediatico e quello vero e proprio. E, quando non si sovrappongono, spesso le conclusioni sono diverse. Era successo anche con Enzo Tortora. Oggi, a quanto pare, nulla è cambiato.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12