Roma, Renzi e la crisi del Pd

Ignazio Marino ha tutto il diritto di non farsi cacciare dalla porta di servizio e di pretendere di essere sfiduciato al termine di un pubblico dibattito nell’Aula Giulio Cesare del Consiglio comunale di Roma. È un sindaco eletto dal popolo e non un podestà nominato dal governo. E, come tale, è dai rappresentanti del corpo elettorale che deve essere bocciato e non dal commissario straordinario di un partito allo sbando come il Partito Democratico.

Chiarito che dopo due anni di inadeguatezza il sindaco “marziano” ha adottato il primo ed ultimo comportamento adeguato e dignitoso del suo mandato, è evidente che da adesso in poi si volta pagina. Ed il capitolo che si incomincia a scrivere a Roma non è più quello del braccio di ferro tra il sindaco alieno ed il partito che si è pentito di averlo fatto eleggere. Ma è quello di chi e di come deve governare una città che ha pagato e sta continuando a pagare dei prezzi enormi alla crisi di tutte le forze politiche in generale e del Pd in particolare.

La prossima seduta nell’Aula Giulio Cesare apre di fatto la più singolare e difficile campagna elettorale della storia della Capitale. Perché è destinata a segnare comunque il passaggio dall’epoca dei partiti tradizionali della Seconda Repubblica ad una fase totalmente nuova segnata dalla presenza di una forza anti-sistema come il Movimento Cinque Stelle e da una miriade di liste civiche decise a non farsi confondere con i gruppi dirigenti dell’epoca precedente, ma obbligate a rivolgersi ad esse per poter sperare di arrivare a governare la Città Eterna.

Qualcuno pensa che, proprio per questa caratteristica, Roma possa diventare una sorta di laboratorio dove sperimentare formule da applicare successivamente a livello nazionale. Il che non può essere escluso. Anche se al momento l’unico fenomeno in atto all’interno del laboratorio romano sembra essere quello della crisi di un Partito Democratico che è, al tempo stesso, non solo il perno attorno al quale ha ruotato la politica romana degli ultimi vent’anni, ma anche la politica nazionale dal 2011 ad oggi.

Matteo Renzi sbaglia quando si rifiuta ostentatamente di occuparsi delle vicende romane considerate come “de minimis” a cui il “praetor” di Palazzo Chigi non deve prestare alcuna attenzione. Perché se vuole rinnovare a propria immagine e somiglianza il Pd è proprio da Roma che deve incominciare ad operare, intervenendo in prima persona anche a rischio di sporcarsi le mani.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:16