
Più che una “cantonata”, quella del responsabile dell’Agenzia Anticorruzione può essere considerata una “cantonite”. Cioè la conseguenza di quella personalizzazione della lotta ai fenomeni corruttivi che si è verificata nel nostro Paese e che hanno indotto a pensare al brillante magistrato investito da Matteo Renzi del compito di portare la verità e la luce nel Paese dove tutto è oscuro, di convincersi della propria ed indispensabile funzione salvifica. Dove c’è lui arriva il bene, dove lui manca domina il male. Per cui se Milano è tornata ad essere la capitale morale tutto è dipeso dal suo intervento miracolistico che ha consentito all’Expo di abbandonare la strada del vizio intrapresa inizialmente e di imboccare quella della virtù indicata dal titolare dell’Anticorruzione. E se Roma tarda ad essere la Capitale corrotta è solo perché nessuno ha ancora pensato di attribuire a questa sorta di Arcangelo dell’apocalisse renziana il compito di preparare il Giubileo scavalcando il Papa, il Palazzo di Giustizia, il Campidoglio, il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri e quant’altro fino all’ultimo dei graduati di polizia e degli amministratori locali.
La “cantonite”, in altri termini, è una sorta di delirio di onnipotenza. Che non stupisce vista la scelta deliberata di personalizzare al massimo la lotta alla corruzione fatta da Renzi per promuovere il renzismo nella terra infidelium della magistratura. Ma che produce come risultato non solo l’irritazione di tutti quelli che si occupano normalmente di amministrare la legge (vedi le critiche a Raffaele Cantone al recente congresso dell’Associazione nazionale magistrati), ma anche di fornire risposte totalmente sbagliate a fenomeni come il profondo malessere in cui versa la Capitale, che meritano ben altre diagnosi.
A Roma la crisi economica ha mandato in corto circuito il sistema consociativo formato da forze politiche e lobby economiche che ha governato la città per l’intero secondo dopoguerra. E, contemporaneamente, ha fatto saltare il perno su cui il sistema si era retto dopo che il perno precedente, la Democrazia Cristiana, era venuto meno nella prima metà degli anni Novanta, cioè il Partito Democratico. A Roma, in sostanza, si sta consumando, con la fine di quel sistema, la crisi del Pd, una crisi che non è solo romana ma che è nazionale e che spinge a rivisitare l’antica formula di Cancogni e stabilire “partito corrotto, nazione infetta”. Cantone s’informi!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:19