Debito pubblico e chiacchiere

Mi sembra evidente che le ultime mosse del Governo Renzi, in particolare l’abolizione delle tasse sulla prima casa e l’innalzamento nell’utilizzo del contante, segnalino un ulteriore, deciso spostamento verso l’area cosiddetta moderata da parte del Presidente del Consiglio. Sebbene il quadro complessivo del Sistema Paese continui a mio avviso ad essere sempre molto critico, questi ed altri non risolutivi provvedimenti possono riportare in alto le sorti elettorali di un signore che aveva promesso miracoli e che, invece, si ritrova vendere fumo dalla mattina alla sera.

Soprattutto finché durerà l’ombrello salvifico del Quantitative Easing della Bce di Mario Draghi, la relativa stabilità finanziaria italiana consentirà al massimo grado l’attuale, spregiudicata politica dell’ex sindaco di Firenze, tutta basata su annunci e regalie in deficit. Tant’è che proprio in questi giorni è uscito un dato sul debito pubblico italiano che, in controtendenza rispetto alla media dei 28 Paesi membri dell’Unione europea in cui si registra un sensibile calo, è salito nel secondo trimestre di quest’anno al 136 per cento del Prodotto interno lordo. Un numero allarmante il quale, superato nel Vecchio Continente solo dalla Grecia, sembra destinato decisamente a crescere in prospettiva, considerando che oltre metà della corposa Legge di stabilità, la seconda dell’Era Renzi, verrà realizzata in disavanzo.

Tutto questo potrebbe poi generare un rapido deterioramento dei conti pubblici, con drammatiche ripercussioni sui nostri tassi d’interesse - attualmente calmierati in modo artificiale proprio dalla citata politica espansiva della Banca centrale europea - se l’ennesima scommessa keynesiana di stimolo della domanda aggregata tentata dai rottamatori al potere non dovesse dare i frutti sperati. A quel punto, di fronte alla voragine che si aprirebbe nel bilancio dello Stato a causa di un gettito tributario sopravvalutato e di una spesa pubblica in costante aumento, nessuno potrà salvarci da un disastro economico e finanziario senza precedenti.

D’altro canto, di fronte ai rischi colossali di un tale indebitamento pubblico, che secondo i conteggi dell’Ocse sarebbe da innalzare al 156 per cento del Pil, non possono certamente servire le chiacchiere di un Premier che ha recentemente rispolverato l’antico motto degasperiano dello statista che pensa in primo luogo alle nuove generazioni. Un personaggio che per riguadagnare consensi scarica sul futuro prossimo una valanga di nuovi prestiti, che nasconde sotto il tappeto le micidiali clausole di salvaguardia e che finge di tagliare la spesa corrente, tutto è meno che uno statista. Ai posteri l’ardua sentenza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10