Caso Sanremo: anche   gli assenteisti piangono

Ammettiamolo! Il fotogramma che riprende il dipendente del Comune di Sanremo in ciabatte e mutande, mentre timbra il cartellino prima di tornare a dormire invece di lavorare, fa vomitare. E non è questione di chimica.

L’assenteismo nella Pubblica amministrazione è una piaga da debellare. Su questo non ci piove. Tuttavia se limitassimo il campo di osservazione ai casi eclatanti come quello del dipendente, canoista per vocazione durante l’orario di lavoro, o come il caso dell’impiegata marcatrice seriale che, in un solo colpo, striscia decine di badge per conto di altrettanti colleghi fannulloni, non renderemmo un buon servizio alla verità. La crisi dell’apparato pubblico italiano non è causato dall’infingardaggine dei “furbetti del cartellino”. Essa va ricercata nelle dimensioni pachidermiche della struttura organizzativa, in particolare delle sue articolazioni territoriali. Vi sono troppi impiegati pubblici in più di quelli che servirebbero. Naturalmente ciò non vale per tutte le branche della Pubblica amministrazione. Si prenda il caso del comparto della sicurezza dove i numeri sono drammaticamente bassi.

Al contrario, se provaste a girare per gli uffici di un’amministrazione regionale meridionale o in quelli di una grande città del centro-sud restereste impressionati dai capannelli di impiegati che bivaccano nei corridoi a discorrere amabilmente del più e del meno. Tutti costoro sono fisicamente presenti sul posto di lavoro, ma hanno la testa altrove. La loro principale preoccupazione è quella di occupare il tempo libero tra l’entrata e l’uscita, in attesa del 27 del mese. È colpa loro se trascorrono la vita d’ufficio a girarsi i pollici? È colpa dei dirigenti che non sono in grado di utilizzarli a dovere? Né l’una cosa, né l’altra. Il marcio non è nel singolo individuo ma nel sistema, quel medesimo sistema che è stato pensato dalla politica per farne uno stipendificio. In particolare dagli anni Settanta fino all’ultimo decennio dello scorso secolo, l’incapacità delle classi dirigenti del paese di programmare sviluppo economico reale è stata coperta dal ricorso sfrenato alle assunzioni facili. Morale della favola: oggi ci troviamo con un esercito di nullafacenti che, quotidianamente, mimano comportamenti lavorativi. Niente di strano se poi qualcuno, ritenendo superflua perfino la finzione, decida di starsene a casa propria a fare altro. Come uscirne? Semplicemente rompendo un tabù: quello dell’intangibilità del posto fisso nel “pubblico”.

Si parla tanto di spending review per tenere a galla i conti; a ogni legge di stabilità si fanno grandi proclami e poi si finisce a litigare per il taglio di qualche decimale di spesa. Di questo passo non si caverà un ragno dal buco. Si vuole fare sul serio? Allora si cominci col dire che almeno il dieci per cento dell’attuale organico della Pubblica amministrazione non ha ragione d’essere e si avvii un processo di uscita per la forza lavoro in esubero. La Gran Bretagna, a parità di abitanti con l’Italia, ha organici nella Pubblica amministrazione di un terzo inferiori ai nostri. Eppure funziona a meraviglia. Perché non prendere esempio dagli inglesi? Questo governo di chiacchieroni faccia almeno ciò che ha promesso, varando i decreti attuativi alla riforma della P.A. approvata la scorsa estate: disciplini il licenziamento del dipendente pubblico per scarso rendimento. Cominciamo a mandare a casa i parassiti. Sarebbe già qualcosa.

E poi, si azioni una buona volta la leva della mobilità interna. Ci sono settori al collasso che richiederebbero maggiore personale per svolgere le funzioni ordinarie. Se c’è gente acquattata in uffici inutili a non fare un ciufolo, li si trasferisca dove servono. Un governo serio, consapevole della sua missione, dovrebbe chiamare a rapporto i sindacati per comunicare che la pacchia è finita e che il tempo dell’impunità è scaduto per tutti, anche per loro: i mammasantissima della Repubblica fondata sul lavoro... degli altri.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:13