Le “buone opere” di Fabrizio Cicchitto

Fabrizio Cicchitto si confessa all’Huffington Post. E dice ciò che la rampante sinistra italo-bleariana vuole sentire: il Centro moderato deve unirsi per fare da sponda al progetto renziano di espellere le ultime scorie veterocomuniste, ancora attive nel Pd bersaniano.

Cicchitto non è l’ultimo degli sfigati; ha cervello e lo usa. È un traditore alla stregua di Angelino Alfano? Troppo semplicistica la lettura che lo consegnerebbe alla storia come l’ingrato che ha voltato le spalle al capo. L’ideologo del Nuovo Centrodestra è nato socialista e intende morire tale. Da pupillo dell’austero Riccardo Lombardi, ha creduto nella via del socialismo per introdurre elementi progressivi di giustizia sociale attraverso un processo riformatore dello Stato e dei rapporti di classe. E non ha mai cambiato idea, anche quando ha militato dall’altra parte del campo. Cicchitto incarna il modello di una diaspora, consumatasi al tramonto della Prima Repubblica, che portò uomini e donne di sinistra a trovare riparo in una destra riplasmata da Silvio Berlusconi su un moderno principio liberale. Per vent’anni si è andati avanti nell’equivoco. Dove si è sbagliato? L’approdo di una componente importante della sinistra, scacciata dalle proprie terre dall’avanzata del giustizialismo dell’allora Pds, poi Ds, non è stato accompagnato da un adeguato processo di rielaborazione culturale e di sintesi con le tesi proprie della destra autoctona che avrebbe consentito la convivenza, in uno stesso schieramento, ad anime distanti.

Oggi, comunque, dobbiamo dirci soddisfatti sia della nascita dell’Ncd, sia dell’uscita pubblica di Cicchitto, perché questa evoluzione di scenario obbliga la destra a fare i conti con se stessa. Non esistono più scuse perché non si rifletta di una visione del mondo che sia alternativa a quella propugnata dalla sinistra. Berlusconi nel 1994 fece il miracolo di mettere insieme l’inconciliabile in nome di un credo assoluto: battere il comunismo sotto qualsiasi forma esso si rappresentasse. In parte vi è riuscito, ma fu un miracolo a metà. Mancò il progetto alternativo e gli italiani, nel tempo, hanno sanzionato l’errore. L’avvento di Renzi è in parte frutto di questa delusione. Oggi ricorrono le condizioni per cui le cose, e gli uomini, possano tornare al loro posto. Cicchitto può fare coming out e dichiarare di essere ciò che è sempre stato: un convinto socialista. Peccato che per vent’anni, in un gigantesco gioco degli specchi rovesciati, abbia fatto credere, e noi lo abbiamo assecondato nella finzione, che fosse diventato un leader di destra a tutto tondo.

Tuttavia, pur nel degrado dell’attuale quadro politico, si scorgono elementi confortanti di cui fare tesoro. Sappiamo, ad esempio, chi sta con chi. E nella politica italiana, viziata da eccessi di bizantinismo, questo è già un bel passo in avanti. Ora, però, la destra dell’immediato futuro deve imparare a stare sulle sue sole gambe. È stato dimostrato che mettere dentro tutti per fare massa critica sia sbagliato; non porta a nulla. Si lasci pure che la navicella degli ex-socialisti – stesso discorso vale per gli ex-democristiani – prenda il largo in direzione del Nazareno. Non è trattenendoli che si servirà la causa dei liberali e dei conservatori. C’è da augurarsi che i compagni di viaggio di Cicchitto accolgano al più presto il suo consiglio e tolgano dal nome del partito quella parolina “destra” che non gli appartiene. Per quanto appaia paradossale, la destra del mito dell’“ordine” ha bisogno di fare ordine in se stessa. Altrimenti è peggio che stare sulla Torre di Babele.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11