Gaetano cerca casa

Ci scuserà Gaetano Quagliariello, ma il suo ravvedimento non riesce a scaldarci il cuore. La lettera inviata ad Angelino Alfano con la quale il senatore rassegna le dimissioni dall’incarico di coordinatore nazionale del partito, certamente prelude ad un’uscita “rumorosa” dal Nuovo Centrodestra.

Siamo ugualmente certi della genuinità del disagio manifestato dal dirigente politico di fronte all’ingloriosa consunzione del partito che ha contribuito a fondare. Tuttavia è lecito domandarsi se Quagliariello abbia davvero mai creduto che la rottura con Forza Italia e il soccorso prestato a Matteo Renzi potesse poggiare su un fondamento ideale sostenibile? Al contrario dei compagni del Partito democratico che hanno letto Lenin, non pensiamo che la verità sia rivoluzionaria, piuttosto essa ci appare quasi sempre banale. Voler trovare a tutti i costi virtuose motivazioni nei comportamenti umani è sterile esercizio morale. L’interesse spicciolo alimenta il mondo meglio di qualsiasi altro propellente, soprattutto quello dei piccoli uomini che si contentano delle piccole cose.

La storia è questa: quando si è trattato di decidere se mollare Silvio Berlusconi e tenersi le poltrone, Alfano e i suoi hanno impiegato un nanosecondo a fare i bagagli. Consumato il tradimento, i “caporali coraggiosi” si sono affidati a quelle due o tre teste pensanti arruolate per confezionare uno straccio di linea politica che servisse a giustificare il salto del fosso. Quagliariello era tra quelle. Inizialmente, gli “illuminati” si sono detti che l’Ncd si sarebbe limitato a garantire, con la presenza in maggioranza, il processo riformatore dell’architettura istituzionale del Paese. E stop. Poi è accaduto che Renzi, intuendo che gli alfaniani si erano cacciati in un vicolo cieco, ha pensato bene di usarli come corpo contundente contro la minoranza interna “dem”. E loro, tutti con la sola eccezione di una riottosa Nunzia De Girolamo, ci sono stati. Erano ormai troppo compromessi per tornare indietro e troppo spaventati all’idea di perdere quel poco di potere raccattato. Nel frattempo, il nuovo Pd renziano ha avviato una manovra di sfondamento al centro allo scopo di conquistare la quota moderata, indispensabile per puntellare il progetto egemonico del Partito della Nazione. A quel punto il piccolo Ncd, da mosca cocchiera usata da Renzi per penetrare il mondo alieno alla sinistra, è divenuto superfluo nel quadro di un progetto di lungo termine.

Dopo l’approvazione dell’autocastrante “Italicum”, gli alfaniani, da comprimari, sono stati declassati a portatori d’acqua della maggioranza e posti in competizione con la pattuglia di spregiudicati corsari del sottobosco governativo, capitanata da Denis Verdini. È evidente che, in questo schema, per il piccolo Ncd non c’è futuro dopo la fine della legislatura. Oggi Quagliariello se ne duole e vorrebbe tentare una disperata inversione di marcia per la sopravvivenza. Che non ci sarà. Avrebbe dovuto riflettere, prima di abbandonarsi ad un avventurismo politico dimostratosi suicida. Perché per Quagliariello non ci sarà lieto fine? Il senatore vorrebbe riposizionare il centrodestra su una piattaforma programmatica sostanzialmente centrista. Peccato che, mentre lui e i suoi servivano Renzi, la storia è andata avanti determinando nuovi equilibri all’interno della destra. Soprattutto vanno delineandosi con chiarezza i profili di ciascuna delle gambe dell’alleanza che verrà: comunitaristi con la Lega, conservatori con Fitto, sovranisti temperati con Giorgia Meloni, liberali, moderati e “diversamente” popolari con Berlusconi. Quindi, il campo che avrebbe in mente di occupare il senatore pentito è già tenuto da una quota consistente dell’organigramma di Forza Italia.

I giochi sono fatti, anche per il povero Quagliariello che, politicamente, nella sua amata America sarebbe definito un “dead man walking”, un morto che cammina.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 18:21