Quando l’ideologia taglia le spese militari

Nel Dna di questa sinistra catto-comunista, incistata al potere, è scolpita la “mission” di rottamare l’apparato militare italiano. Si smobilitano le Forze armate tagliando loro le risorse finanziarie. La scusa c’è: è quella della spending review. Bisogna risparmiare! Dice il ministro Pier Carlo Padoan. Ma perché non farlo da qualche altra parte? Nel 2014 il capitolo di spesa per la “Funzione Difesa” era di 14 miliardi di euro, al netto del sotto-capitolo destinato all’Arma dei carabinieri. La “Fedelissima” svolge prevalentemente funzioni di sicurezza interna, polizia giudiziaria e ordine pubblico, per questo motivo il suo costo va considerato separatamente rispetto all’ammontare complessivo della spesa.

Per restare alle Forze armate, nel 2015 è previsto un abbassamento della voce di bilancio a 13,2 miliardi di euro fino a raggiungere il massimo calo, nel 2017, a 12,7 miliardi. I circa 900 milioni in meno verranno sottratti al capitolo degli investimenti, dovendo necessariamente tenere in linea le poste di bilancio “Personale” ed ”Esercizio”. Cosa significa? Semplicemente che, il nostro apparato di difesa non avrà sufficiente energia per rigenerarsi. L’ammodernamento dei mezzi e delle tecnologie viene accantonato per volontà del governo. Non è forse questa una scelta ideologica? Lo è ed è sbagliata. I conti pubblici vanno declinati nella realtà. In un momento di grande turbolenza dello scacchiere mediterraneo che ci coinvolge direttamente, togliere al capitolo “Difesa” e non investire in nuovi armamenti equivale a un suicidio. A meno che non si ritenga che il ruolo dell’Italia, come protagonista autonoma sulla scena internazionale, sia tramontato e che il nostro Paese sia diventato una costola di qualcos’altro. Magari della Germania, come tutto della politica renziana lascia intendere.

Gli altri grandi Paesi europei, della cui efficienza e lungimiranza il nostro governo in altre circostanze ci ha riempito la testa, hanno previsto robusti incrementi di spesa per il comparto della Difesa. Da un’analisi comparata di Paola Sartori e Alessandro Marrone, pubblicata in luglio dalla “Rivista Affari Internazionali”, apprendiamo che la Germania prevede un aumento del 6,2 per cento degli investimenti nei prossimi cinque anni, per giungere nel 2017 a un ammontare complessivo pari a 35 miliardi di euro. La Francia impegnerà ulteriori 3,9 miliardi, in aggiunta a quelli già previsti per il triennio 2016-2019. La Gran Bretagna ha deciso di incrementare il coefficiente di spesa militare dello 0.5% del Pil fino al biennio 2020-2021. Pensate che questi siano numeri compatibili con chi ha voglia di arrendersi? Mentre l’Europa che conta si riarma annusando il pericolo nell’aria che viene dal sud del mondo dove i fondamentalismi religiosi e politici stanno tracimando dai loro alvei naturali, in Italia c’è chi pensa a mettere fiori nei nostri cannoni. Si obietterà che alcuni piani d’investimento sono stati confermati. Ma a quali condizioni? La storia dell’acquisto degli F-35 Lightning II dall’americana Lockeed-Martin si sta trasformando in una telenovela. A furia di rinegoziazioni alla fine acquisteremo macchine aeromobili in numero insufficiente a coprire le minime esigenze operative dei prossimi dieci anni.

Alla Marina militare non è andata meglio. Lo avete letto il piano di ammodernamento approvato? Via fregate, incrociatori e cacciatorpediniere e dentro unità multifunzionali, equipaggiate con sistemi d’arma a bassa intensità, il cui compito principale sarà quello del soccorso alle popolazioni civili in fuga. Come disse un’autorevole parlamentare piddina: servono navi più capienti per raccogliere più migranti.

Il Governo Renzi ci sta disarmando, proprio come auspica da tempo la signora Laura Boldrini, la profetessa della “Matria disarmata” che scaccia la Patria armata. Dopo la cura da cavallo a cui ci obbliga il pacifismo integrale nostrano non saremo più gli stessi. E non ci piacerà.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14