L’Italia, l’Onu e l’intervento in Libia

È sicuramente apprezzabile che Matteo Renzi abbia spiegato di fronte all’Assemblea delle Nazioni Unite che l’Italia non intende partecipare all’intervento armato in Siria e vuole limitare il proprio impegno per la pace nel Mediterraneo concentrandosi sulla Libia e sulle tensioni che provengono dall’Africa. Ed è altrettanto lodevole che il Presidente del Consiglio abbia manifestato la disponibilità del nostro Paese ad avere un ruolo-guida per un’eventuale iniziativa dell’Onu tesa a dare stabilità e sicurezza alla Libia dilaniata dalle lotte tribali e dall’aggressione crescente dell’Isis.

Ma quale potrebbe o dovrebbe essere l’eventuale iniziativa dell’Onu? Ed in quale modo l’Italia potrebbe assumere la guida di tale operazione di pace nella vecchia “quarta sponda”?

L’interrogativo rimane aperto. Ma non ci vuole grande fantasia per chiuderlo in maniera logica e razionale. Renzi non ne ha parlato perché la retorica pacifista nazionale vieta l’uso di un termine così politicamente scorretto e così bandito dal lessico politico nazionale. Ma l’unica risposta possibile a questo interrogativo si chiama “intervento”. Di un intervento che non si componga solo di aiuti materiali e finanziari secondo le tradizioni della cooperazione internazionale ma anche e soprattutto di azioni militari. Queste azioni possono limitarsi a quegli affondamenti dei barconi per la tratta dei migranti che, a quanto pare, sono già in atto. Ma possono anche estendersi ai raid aerei per allentare la pressione dell’Isis sull’esempio di quanto Francia e Stati Uniti compiono in Siria o, addirittura, a raid terrestri mirati non a conquistare territorio ma ad eliminare le punte più aggressive e pericolose dell’esercito fondamentalista.

L’Italia è in grado di guidare un intervento del genere? La domanda è d’obbligo per una duplice serie di motivo. Il primo è che decenni di pacifismo cattocomunista hanno creato nel Paese un clima ostile non solo a qualsiasi impresa di questo tipo, ma addirittura al termine che la definisce. Può essere che Renzi abbia meno difficoltà di Massimo D’Alema nel suonare la squilla guerresca, ma è certo che anche per lui non sarà una passeggiata compiere una scelta del genere. Il secondo è che l’apparato militare, reduce da anni ed anni di tagli ai propri finanziamenti, non sembra assolutamente in grado (anche per mancanza di una strategia politica adeguata) ad essere all’altezza del compito a cui dovrebbe essere sottoposto. Per “guidare” un eventuale intervento Onu in Libia ci vogliono mezzi, strutture, uomini motivati e, soprattutto, la consapevolezza che non si tratta di un’operazione di pura immagine ma di grande ed al momento poco individuabile senso di responsabilità.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:15