La Merkel “asfissiata”   dalla Volkswagen

Il “Dieselgate” rischia di mettere in crisi l’immagine vincente di Angela Merkel e della “sua” Germania. È triste constatare che la tanto decantata disciplina tedesca si sia rivelata un “pacco” da magliari.

Qualcuno, in Italia, ne gode. Questo qualcuno spera, sotto-sotto, che lo scivolone faccia molto male alla “Signora di ferro”. Basta seguire i talk televisivi e leggere i giornali per comprendere quanta malcelata soddisfazione vi sia in casa nostra per il disastro procurato dalla Volkswagen ad Angela. E al mondo. Sembra di assistere a una rivincita fantozziana sull’odiato, e temuto, mega-direttore-galattico. Ma gioire delle disgrazie altrui è roba da servette. Patetico! Non è così che si rimettono a posto le cose in un’Unione europea egemonizzata dalla teutonica volontà di potenza. È come il ragazzino frustrato che prende un terno se il bullo che lo maltratta, dentro e fuori scuola, si è rotto una gamba cadendo dagli sci. È probabile che il poveretto per qualche giorno possa starsene tranquillo sapendo il picchiatore fuori dalla circolazione, ma inesorabilmente l’energumeno guarirà e i guai ricominceranno come e peggio di prima. Fuor di metafora: se qualcuno pensa che, a causa della crisi della Volkswagen, la signora Merkel diventerà più buona con i “sudditi” dell’Europa meridionale sta prendendo un granchio grosso come una balena. La strada che ha condotto la Germania a conquistare, al momento, il controllo politico ed economico dell’Ue - in un futuro prossimo toccherà all’aspetto militare - viene da lontano; affonda in un passato plurisecolare.

La filosofia della “Kultur”, dominante in uno spazio più ampio di quello segnato dai confini fisici dello Stato tedesco, antecede la funesta parentesi hitleriana e il periodo intercorso tra la fine del secondo conflitto mondiale e la “caduta del muro” ne segna soltanto una temporanea sospensione dovuta alle oggettive condizioni di debolezza di un Paese sconfitto e diviso. Una volta rimessa in piedi la sua economia, l’esigenza vitale all’espansione è tornata ad essere una priorità di Berlino a cui nessun politico tedesco, popolare o socialdemocratico, intende rinunciare. Il problema è tutto nel cambio di “mission” che questa parte del Vecchio Continente ha subìto dopo la fine della Guerra fredda e della contrapposizione Est-Ovest.

L’Unione dei primordi, quella dei grandi ideali di fratellanza e di solidarietà dei popoli d’Europa, non esiste più. È stata consegnata agli archivi della storia. Oggi vige la dura legge del più forte che detta le regole agli altri i quali hanno a disposizione una sola alternativa: accettare e vivere o negare e perire. Grecia docet. Che fare? Non ci sono molte possibilità per invertire il senso della storia. Per contrastare il più forte devi essere più forte di lui, altrimenti vieni piegato. La debole Italia renziana è una nazione piegata che ha accettato di mettersi dalla parte del più forte in cambio di qualche modesto beneficio. Per questo motivo non c’è niente di che stare allegri dalle recenti disavventure ambientaliste della Germania. Pensate che il nostro Premier abbia la forza di andare a Bruxelles a dire alla Merkel: ora si fa come dico io? Può soltanto sfregarsi le mani pensando al suo amico Sergio Marchionne che in questa storiaccia potrebbe aver messo qualcosa di più di uno zampino. Ma deve stare attento, Renzi, a che nessuno lo veda e lo riferisca a Berlino. Al più può andare in televisione, come fa il surreale ministro Angelino Alfano, a raccontare la balla che sui profughi l’Europa ha ascoltato la voce italiana e sperare che qualcuno ci creda.

Tuttavia, nel nostro martoriato Paese c’è ancora chi abbia ancora chiaro il senso dell’onore. Esiste un codice antico dei duellanti che vieta di colpire l’avversario quando è a terra. Oggi Angela Merkel, che resta nostra nemica, è azzoppata. Pugnalarla alle spalle è da vili. Gli italiani avranno pure mille difetti, ma non sono vigliacchi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11