Le incognite libiche   dietro al rapimento

Di Filippo Calcagno, Fausto Piano, Gino Pollicardo, Salvatore Failla, i quattro italiani rapiti in Libia la notte di domenica, al momento non si hanno notizie. Le nostre autorità sembra che brancolino nel buio. Alcuni organi di stampa hanno avanzato l’ipotesi che i rapitori appartengano alle milizie tribali della zona di Zuara, città capoluogo della Municipalità di Al Nuqat al Khams al confine con la Tunisia. Se così fosse il sequestro avrebbe scopi estorsivi. E, per quanto sia assurdo riconoscerlo, speriamo che sia la pista giusta perché, pagando anche una cospicua somma di danaro, almeno avremmo la certezza di rivedere vivi i nostri connazionali. Diversamente, se il rapimento avesse un fine politico le cose potrebbero mettersi male. Non sfugge, a un’analisi più attenta, la preoccupante coincidenza dell’azione criminale con gli ultimi eventi di politica internazionale che hanno visto coinvolto il nostro Paese, sia pure in posizione marginale.

In particolare, il fatto nuovo con cui tutta l’area mediorientale e nordafricana è chiamata a confrontarsi è l’accordo sul nucleare stipulato della potenze mondiali con l’Iran. L’Italia è entrata di straforo nella “photo opportunity” di Vienna attraverso il volto beato della signora Federica Mogherini, presente al negoziato in rappresentanza dell’Unione europea. L’intesa ha prodotto l’aumento esponenziale di peso geopolitico dell’Iran sciita. Ciò, ovviamente, non può fare piacere agli stati dell’Islam sunnita che finora hanno svolto un ruolo egemone nella regione. Dallo spostamento degli equilibri potrebbe derivare la decisione dei paesi che si sentono minacciati dall’accordo di Vienna di cercare l’incidente con l’anello debole della catena dei Paesi avanzati che hanno benedetto la resurrezione politica di Teheran. E quale miglior target della piccola Italia?

Non dimentichiamo un altro avvenimento, accaduto pochi giorni orsono e che la nostra informazione ha ampiamente sottovalutato: l’attentato dinamitardo alla sede consolare italiana al Cairo, in Egitto. Per destabilizzare lo scacchiere mediterraneo le dinastie del petrolio potrebbero incrementare i già robusti finanziamenti concessi ai terroristi dell’Is i quali coltivano il sogno di portare la guerra a Roma. Dietro il rapimento dei 4 italiani, si distinguono i contorni di una regia raffinata intenta a mettere in sequenza una serie di “avvertimenti” per costringere il nostro paese, doppiogiochista nella gestione dei rapporti internazionali, a una chiara scelta di campo. Se questa ipotesi dovesse trovare fondamento sarebbero guai seri per il nostro governo che più di tutti i suoi predecessori è affetto dal morbo del “ma anche”. Tuttavia, non è detto che si debba andare sempre a rimorchio di qualcun altro. In Libia, ad esempio, sarebbe ora che il nostro governo prendesse lui l’iniziativa, visto che quello libico è principalmente un nostro problema. Ormai anche i sassi hanno capito che l’estenuante negoziato trascinato fuori tempo limite dal delegato delle Nazioni Unite, Bernardino Leon, sia fallito.

Cosa si aspetta a creare una coalizione di Paesi dell’area per intervenire, anche militarmente, sul suolo libico? Egitto, Tunisia, Algeria, Niger, Ciad, Sudan e Mali non desiderano altro che farla finita con la “scheggia impazzita” del nord-Africa. Di quante migliaia di clandestini abbiamo ancora bisogno o quanti altri rapiti italiani occorrono prima di mettere fine al caos che regna alle nostre porte? L’amministrazione americana ce lo sta spiegando in tutte le salse che, in futuro, dovremo pensare da soli alla nostra difesa, perché loro gradualmente ci stanno lasciando. Cosa si aspetta ad agire in Libia? Siamo pur sempre la potenza marittima che ha fatto la storia nel Mediterraneo. Di cosa o di chi dovremmo avere paura?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11