Il piano elettorale del  ballista postmoderno

Una volta i programmi di governo infarciti di promesse tanto roboanti quanto irrealizzabili venivano definiti “libro dei sogni”. Ma erano tempi passati in cui il linguaggio della politica di rado usciva dai confini della cortesia lessicale.

Nel tempo presente, che appare sempre più segnato dalla crudezza espressiva imposta dalla necessità di lanciare messaggi sintetici ed efficaci tramite la Rete, il programma esposto da Matteo Renzi all’assemblea del Partito democratico svoltasi all’Expo di Milano può essere serenamente e tranquillamente definito “libro delle balle”.

Naturalmente nessuno, tranne qualche irriducibile masochista, può dolersi dell’intenzione di Renzi di voler trasformare il Pd da “partito delle tasse” in “partito dell’anti-tasse”. Magari fosse! Vorrebbe dire che la forza politica che da sempre è attestata a difesa dello Stato burocratico-assistenziale (anche perché lo ha a tal punto occupato da non poterne in alcun caso farne a meno) si è convertita alla visione liberale dello Stato leggero, liberato da quelle burocrazie elefantiache che impongono tassazioni esorbitanti.

Ma si tratta di una svolta reale? E si tratta di una svolta realizzabile? Nel suo discorso all’Expo, anch’esso occupato per l’occasione dal Pd, il premier non ha manifestato alcuna forma di conversione ma si è limitato ad indicare un semplice percorso elettorale. Il Presidente del Consiglio, si sa, è post-ideologico, nulla sa di stato sociale afflitto da insostenibile elefantiasi e della necessità di avviare al più presto una sua radicale riforma. Capisce che, nel Paese dove la tassazione è tra le più alte d’Europa, solo promettendo al popolo una riduzione delle odiose gabelle si può continuare a vincere le elezioni. E lui lancia un piano triennale di promesse legate alle prossime scadenze elettorali: l’abolizione della tassa sulla prima casa prima delle amministrative del prossimo anno, poi il taglio alle tasse sulle imprese nel 2017 ed infine, prima della scadenza della legislatura e del voto politico del 2018, la riduzione di quell’Irpef che insieme alle tasse locali ha portato il livello della pressione fiscale oltre la soglia del 65 per cento.

Ma come realizzare un piano che dovrebbe costare più di 45 miliardi di euro in tre anni? Se il debito pubblico non fosse arrivato alla cifra record di oltre i duemiladuecento miliardi di euro non ci sarebbe alcun dubbio che Renzi seguirebbe la strada del consociativismo della Prima Repubblica ed aumenterebbe il debito. Ma questa strada è preclusa dall’Europa, a cui lo stesso Renzi è rigorosamente prono. E allora? Escluso il taglio della spesa pubblica e della riforma dello stato sociale (Cottarelli insegna), non rimane altro che il gioco delle tre carte. Cioè la riduzione delle tasse da una parte e la loro riproposizione dall’altra sotto forma e nomi diversi. Ovvero un semplice processo illusionistico che cambia tutto per non cambiare nulla. Ma lo fa con la crudezza espressiva del ballista post-moderno.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10