Dopo Israele, Obama abbandonerà l’Europa

Fatto l’accordo anche con l’Iran, abbandonato l’alleato Israele al suo destino, una domanda sorge spontanea: quale sorpresa ci riserverà, ancora, l’amministrazione di Barack Obama? Quale altro alleato sarà abbandonato? La risposta più facile da prevedere è: l’Europa.

Il negoziato condotto dal gruppo di contatto P5+1 (Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina e Germania) con l’Iran ha infatti causato indirettamente un riavvicinamento diplomatico fra Mosca e Washington. Nella sua conferenza stampa, all’indomani dell’accordo, il presidente americano affermava quanto fosse stato importante l’apporto diplomatico russo. Quel che ci possiamo attendere, dunque, è un prossimo rilassamento delle relazioni con Putin. Anche per motivi militari: la giustificazione ufficiale per lo schieramento dello scudo anti-missile della Nato era proprio la futura minaccia missilistica iraniana. Ed era lo scudo anti-missile europeo il principale motivo di rancore fra Usa e Russia. Ora che la minaccia missilistica iraniana è stata ufficialmente archiviata, il programma Nato sarà probabilmente il primo a saltare, anche nel nome del prossimo appeasement con Mosca.

Se gli Usa dovessero ritirarsi dal programma anti-missile della Nato, o l’Alleanza stessa dovesse rinunciarvi con decisione collettiva, che scenario si presenterà all’Europa? Sarebbe un déja vu del 2009, quando Obama annunciò la cancellazione del programma di difesa anti-missile dell’amministrazione Bush e lo fece proprio il 17 settembre, nel giorno in cui i polacchi ricordavano il 70mo anniversario dell’invasione sovietica (e con questo Obama, per dispetto o per ignoranza, comunicò a polacchi di non essere minimamente interessato alla loro sicurezza). Da allora ad oggi, l’atteggiamento di questa amministrazione non è mai realmente cambiato. Il messaggio è chiaro: l’Europa deve difendersi da sola. L’obiettivo principale degli Usa è quello di raggiungere un accordo con la Russia (attraverso il “reset” e “restart”, annunciati da Obama sin dal 2008 e lanciati nel 2010) e abbandonare il Vecchio Continente.

La crisi in Ucraina ha solo rallentato, ma non fermato, questa tendenza. Attualmente sono presenti sul suolo europeo meno militari e meno basi di quanti ve ne fossero l’anno scorso, all’inizio della crisi. A gennaio 2015 gli Usa hanno deliberato la chiusura di ben 15 basi in Europa. All’inizio dell’amministrazione Obama, erano presenti sul continente 4 brigate, oggi abbiamo solo un reggimento di cavalleria in Germania e una brigata aviotrasportata in Italia. Gli organici statunitensi in Europa sono ridotti complessivamente a circa 10mila uomini, un quarto di quel che erano cinque anni fa. Per ora l’unico programma militare statunitense in espansione in Europa era, appunto, quello per la difesa anti-missile. Se ora dovesse venir meno, gli Usa perderebbero ancor più interesse nella nostra sicurezza. Tendenza confermata anche dai continui solleciti di John Kerry (segretario di Stato Usa) alle nazioni europee affinché spendano di più per la loro stessa difesa.

Difficile prevedere cosa possa essere dell’Europa dopo un ritiro completo da parte degli Usa. Una conseguenza diretta la stiamo vedendo già da due anni in Ucraina. Le azioni russe, assolutamente sproporzionate rispetto all’“offesa” (a una rivolta di piazza e a un cambio di governo in un paese straniero, Mosca ha risposto con un’invasione non dichiarata) sono la dimostrazione più che lampante che la Russia si prepara a subentrare come potenza dominante in Europa. E qui serve aprire una piccola parentesi: purtroppo, come già accennato, gli italiani, soprattutto di destra, si sono abituati a leggere una realtà rovesciata, in cui il Maidan diventa un “golpe” americano, il governo ucraino diventa un fantoccio americano (e possibilmente “nazista”, come nella vecchia tradizione della propaganda del Kgb), la presenza militare statunitense in Europa (che, come abbiamo visto, è in drastico calo) diventa una “escalation”, infine gli Usa “minacciano di scatenare” un’improbabile guerra a Mosca. Questa è la realtà virtuale creata dalla propaganda del Cremlino e abilmente diffusa in tutta Europa, tramite televisioni, social network e stampa. Questa retorica, che ribalta continuamente fatti, responsabilità e azioni, inventa eventi e dati, ha in realtà un unico scopo: preparare psicologicamente i russi (e gli europei) a una prossima espansione russa. In pratica, i vertici del Cremlino stanno creandosi il ruolo delle vittime, l’alibi e il pretesto per la prossima annessione. Tolta la presenza americana, i russi potrebbe puntare ad annettere altre porzioni di Georgia (come stanno già iniziando a fare), di Moldova (come minacciano di fare) e iniziare a puntare agli obiettivi più ambiziosi: Paesi Baltici, Polonia e probabilmente anche Finlandia, tutte nazioni costantemente nel mirino della retorica russa. Più è fondata la consapevolezza che gli Usa non interverranno, più alto sarà il rischio della guerra.

Il graduale ritiro americano dall’Europa sta provocando e provocherà, dunque, una graduale espansione della Russia. A meno che nell’Europa occidentale non si affermi qualche altra potenza regionale. Ma quale? La Germania, dopo settant’anni di pacifismo istituzionale, non ha affatto intenzione di rimettersi sul piede di guerra. La Francia, sempre più in crisi, anche volendo non ne avrebbe i mezzi. La Gran Bretagna, da sette anni, non fa che tagliare il budget della difesa: per la prima volta dal 1917 si trova senza una sola portaerei e per la prima volta dal 1914 si trova con un esercito non più sufficiente a combattere un’eventuale guerra continentale. Di fronte al prossimo espansionismo russo, dunque, le nazioni di frontiera (Baltici e Polonia, prima di tutto, ma anche i Paesi scandinavi) sarebbero pressoché abbandonati a loro stessi, senza scudo antimissile e senza alleati americani pronti a intervenire, costretti a scegliere fra sottomissione o guerra.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11