
Agli occhi di Matteo Renzi la causa della recente sconfitta elettorale del suo partito non è stata la crescente consapevolezza dell’opinione pubblica dell’errore commesso quando ha attribuito al giovane e rampante Premier capacità miracolistiche e salvifiche inesistenti. La ragione, sempre agli occhi dell’inquilino di Palazzo Chigi, è stata l’ondata di fango che si è riversata sul Governo a causa della vicenda di “Mafia Capitale”, della campagna elettorale dell’incandidabile Vincenzo De Luca in Campania e delle lacerazioni all’immagine trionfale del renzismo provocate dai dissidenti interni.
Avendo chiara la convinzione di Renzi, si capisce perfettamente non solo il significato del suo annuncio di voler tornare al più presto al “Renzi 1” abbandonando il “Renzi 2” troppo misurato ed istituzionale rispetto alla versione originaria di indomito combattente. Ma si possono facilmente intuire i passaggi che il Presidente del Consiglio intende compiere per operare questa sorta di ritorno al rampantismo vincente dello scorso anno.
Il primo di questi è la scelta di scaricare Ignazio Marino. Già nelle settimane scorse era apparso evidente che per salvare Palazzo Chigi il Premier sarebbe stato costretto presto o tardi a sacrificare l’inquilino del Campidoglio. Si pensava che il sacrificio sarebbe avvenuto non così presto ed in maniera così traumatica. Invece Renzi ha scelto di agire subito e di farlo con la massima determinazione e violenza. Proprio per usare il caso Marino come la dimostrazione inequivocabile della sua volontà di riprendere la marcia trionfale interrotta dal voto regionale e dai ballottaggi comunali.
Renzi aveva bisogno di far rotolare metaforicamente una prima testa. Per rendere evidente di essere tornato l’asfaltatore determinato ed irrefrenabile di una volta. E ha fatto saltare la testa di Marino non solo perché era quella che più si presta al suo scopo, ma è anche quella su cui è assolutamente certo che l’opinione pubblica non sprecherà neppure mezza lacrima. Alla testa del sindaco di Roma si può dare per certo che seguirà anche quella dello “sceriffo” della Campania eletto con i voti trasformisti e clientelari di Ciriaco De Mita e quelli poco commendevoli degli amici di Cosentino. Ad esse, infine, seguiranno quelle di qualche dissidente interno del Partito democratico. Tutta gente che verrà eliminata politicamente per rendere evidente all’opinione pubblica del Paese il rigore rivoluzionario di un Premier che se vuole sopravvivere deve per forza dimostrare di non guardare in faccia nessuno.
Non è detto che la ghigliottina renziana ottenga il risultato sperato. È probabile, al contrario, che non serva a nulla. Perché il Paese non ha bisogno di esecuzioni sommarie per convincersi che il Premier è determinato, ma di fatti concreti per verificare che lo stesso Premier è adeguato alle difficoltà crescenti del momento. Ma Renzi è convinto che solo eliminando i suoi gregari possa tornare ad essere l’“uomo solo al comando”. E, di conseguenza, non rimane che prepararsi ad assistere a questo sacrificio collettivo. Che non avrà altri meriti oltre quelli di far tornare a votare i romani e, probabilmente, anche i campani, e rendere sempre più profonde le lacerazioni del Pd.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:15