La grande fregatura della “buona scuola”

Una buona scuola significa un futuro migliore per il Paese. È naturale che il governo in carica voglia metterci mano con una propria riforma. Il punto è se le cose poi potranno migliorare o meno. Ai compagni del sindacato l’idea non piace. Loro preferirebbero mantenere gli equilibri esistenti. Non fosse altro perché nella scuola odierna comandano incontrastati. La massiccia partecipazione allo sciopero dei docenti di alcuni giorni orsono rappresenta l’antipasto di quello che avverrà nei prossimi mesi. La riforma proposta anche a noi non piace, ma per le ragioni opposte a quelle dei manifestanti. In particolare spaventa l’eccesso di potere che il disegno di legge governativo, in discussione in Parlamento, assegnerebbe alla figura del dirigente scolastico. Secondo il progetto l’autonomia scolastica verrebbe rafforzata attraverso il piano triennale dell’offerta formativa affidato alla responsabilità esclusiva del preside.

I docenti da impegnare sarebbero scelti a sua discrezione da una lista regionale. Anche la valutazione sul loro operato sarebbe prerogativa del preside. “Managerializzare” la conduzione degli istituti scolastici non è di per sé sbagliato. Rendere la singola scuola un’organizzazione competitiva che si offre sul mercato dell’educazione è un sano principio liberale che non può vederci contrari. Tuttavia, pensare di affidarsi in toto agli attuali dirigenti scolastici sarebbe come innestare una talea in un tronco marcio. I presidi attualmente già godono di ampi poteri. E si comportano, in un cospicuo numero di casi, non da manager ma da padroni del vapore. All’opinione pubblica forse sfugge che il dirigente scolastico attualmente aggiunge alle proprie attività ordinarie quelle extracurriculari previste dal Piano Operativo Nazionale della Scuola, cofinanziato con fondi europei e tutte le partecipazioni co-attoriali nella programmazione territoriale negoziata. Tradotto in soldoni, oltre allo stipendio fisso di dipendente pubblico, il dirigente scolastico ha guadagnato grazie alla partecipazione dell’istituzione scolastica, di cui è titolare, alla miriade di iniziative finanziate per le quali il soggetto scuola è per legge un partner obbligatorio. Non vi è stato gruppo di progetto o cabina di regia di cui il dirigente scolastico non abbia fatto parte. A pagamento, prima riscuotendo direttamente e più recentemente via Fondo Unico Nazionale. Inoltre, gli è consentito di gestire l’utilizzo remunerato dei docenti della scuola nelle attività extra didattiche e la scelta di professionisti esterni per l’implementazione delle azione educative. Si tratta di un potere immenso, soprattutto nelle regioni meridionali, dove storicamente la formazione ha funzionato da ammortizzatore sociale per la disoccupazione intellettuale.

Un dirigente scolastico, grazie al tanto denaro pubblico che gli passa tra le mani, può fare la sua fortuna e quella dei suoi amici e sodali. Non diciamo che tutti si siano arricchiti, ma un’indagine capillare dell’Agenzia delle Entrate sulle componenti variabili dello stipendio dei dirigenti scolastici ci racconterebbe molte cose sorprendenti. Sarebbe opportuno che la nuova legge almeno stabilisse un nesso tra i compensi percepiti e i risultati conseguiti. Il piano è triennale? Benissimo. Allora al preside manager si faccia un contratto triennale subordinandone il rinnovo alla valutazione positiva di un organismo superiore indipendente. Purtroppo questo non accadrà. La riforma renziana ci porterà a dover fare i conti con l’ennesimo concentramento di un potere burocratico nelle mani di un solo interlocutore inamovibile. Allora, altro che buona scuola. Sarà la “buona clientela”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14