1 maggio ricordando Girone e Latorre

Il 1 maggio dello scorso anno, da queste stesse pagine, dedicammo un pensiero ai nostri due marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Voleva essere insieme un tributo di riconoscenza per i nostri ragazzi intrappolati nella ragnatela indiana e una provocazione per la politica. Il giorno della festa dei lavoratori, tra cortei, striscioni, bancarelle e concerti rock, era nostra intenzione ricordare agli italiani due dei suoi figli migliori che stavano pagando un prezzo altissimo al senso di patria. Speravamo sinceramente che la provocazione finisse lì, su quella pagina, perché non vi sarebbe stato per i nostri ragazzi un altro “primo maggio” da reclusi illegalmente in un paese straniero. Purtroppo peccavamo di ottimismo.

Un altro anno è passato e la situazione non è cambiata di una virgola, se non per il fatto che Latorre si trova temporaneamente in Italia per curarsi da un ictus che l’ha colpito durante la prigionia. Alla scadenza del permesso accordato dalla magistratura di New Delhi, Massimiliano dovrà fare ritorno in India per raggiungere il commilitone Salvatore Girone agli arresti. A oltre tre anni dalla vicenda della nave italiana “Enrica Lexie”, i nostri marò non sanno ancora di cosa li si accusi. Dovranno attendere un’udienza fissata al prossimo luglio per saperne di più. Per questa ragione entrambi non possono essere considerati semplici indagati in un’indagine per il presunto omicidio di due sedicenti pescatori indiani, ma ostaggi di un paese arrogante che si finge uno Stato di diritto. Per quanto si siano dati una ripulita per sedere alla tavola delle grandi potenze mondiali, i governanti indiani restano nell’indole gli spregiudicati pirati del tempo della colonizzazione inglese. Loro sono come sono, il guaio è che noi italiani non sappiamo più chi siamo.

Spesso abbiamo usato parole forti per apostrofare il nostro attuale premier e la sua corte dei miracoli. Non ce ne siamo pentiti perché, di là dalle chiacchiere e dalle mirabolanti promesse, ciò che l’azione di governo ha restituito all’opinione pubblica è l’immagine di un paese debole che non conta più nulla. Che non ha la forza di riprendersi i suoi uomini. Che non sa cosa fare e spera che altri facciano al posto suo. Abbiamo avuto l’occasione di presiedere l’Unione europea per un semestre. Potevamo approfittarne per mettere alle strette il governo indiano. Non l’abbiamo fatto non per realpolitik ma per paura delle conseguenze. Banale, sciocca, volgare paura. Con l’avvicendamento al vertice della Farnesina abbiamo sperato che qualcosa cambiasse. Il neo-ministro degli Esteri, il conte Gentiloni, ha chiesto silenzio sull’argomento spiegando che certe questioni diplomatiche richiedono riservatezza. Era una truffa. Non c’era nessuna soluzione alle viste. Si trattava di un modo furbesco per togliere dal tavolo del governo un macigno ingombrante: la sorte dei due marò. Ora siamo a un altro 1 maggio di festeggiamenti. Tuttavia, ci scuseranno i lavoratori se non abbiamo gran voglia di fare baldoria. C’è poco da stare allegri. Siamo in lutto per il lavoro che non c’è, per la ripresa economica che non c’è, per i soldi alle famiglie che non ci sono, per il senso di patria che si è smarrito e per Salvatore Girone e Massimiliano Latorre che il nostro governo ha dimenticato.

Allora fatevela da voi la festa, cari compagni del Pd e dell’arcobaleno pacifista, se ne avete lo stomaco. Noi poveri cristi che restiamo aggrappati al senso del pudore, non abbiamo la vostra stessa faccia tosta. Ma di questo ne meniamo vanto.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11