Autoinganno collettivo e le turbo-chiacchiere

Come un sinistro controcanto alla ridda di dati negativi sull’andamento dell’economia, assistiamo inerti ad un Paese che cade letteralmente a pezzi all’interno di un crescente caos organizzativo. Tutto ciò conferma ulteriormente la crisi sistemica che sta interessando l’Italia oramai da decenni. Una crisi che ha dunque cause antiche e che, innanzitutto per questo, non può certamente essere addebitata ad un Governo che è in carica da un anno e due mesi.

Tuttavia, proprio in considerazione della natura sistemica dei nostri guai e alla luce del cupo quadro generale che abbiamo di fronte, la linea politica assunta da Matteo Renzi fin dal suo ingresso nella stanza dei bottoni, che potremmo definire dell’autoinganno collettivo, è totalmente da condannare, soprattutto per il grave effetto di distrazione di massa che tale linea tende a creare.

Ribadendo un concetto che mi trovo mestamente a ripetere da tempo, il Paese avrebbe principalmente bisogno di una direzione politica coraggiosa la quale, divulgando con chiarezza la vera condizione di una Repubblica sostanzialmente fallita e tenuta per ora in vita dall’azione salvifica della Bce di Mario Draghi, prospettasse la necessità di una via d’uscita non indolore. Una strada di sacrifici obbligati che proprio il momentaneo aiuto del cosiddetto Quantitative easing potrebbe rendere politicamente più percorribile per i sacerdoti della fallimentare italietta col record mondiale della spesa pubblica e delle tasse. Anche perché non è pensabile che la zona euro voglia suicidarsi prolungando all’infinito la provvidenziale, per noi e per gli altri Stati canaglia, stampa di nuova moneta.

D’altro canto, andando avanti di questo passo la valanga di valuta necessaria per tenere in carreggiata l’Italia renziana dei miracoli rischierà di seppellire l’intera Europa, visto che il nostro debito sovrano lievita senza controllo e l’economia non ne vuol sapere di ripartire. Ma il premier cantastorie continua a raccontare agli italiani che siamo un grande e florido Paese, con tutte le potenzialità per uscire brillantemente dalla crisi: basta semplicemente volerlo. E giù a tassare e spendere, raschiando il fondo del barile a colpi di bonus e tesoretti, rinverdendo con ciò l’eterna illusione keynesiana che oramai, nell’ambito di un sistema pubblico che estorce oltre il 55 per cento del reddito nazionale, possiamo considerare come l’ultimo rifugio delle canaglie politiche. Tant’è che il grande Winston Churchill scrisse che l’idea di far crescere una economia tassando e spendendo equivale “ad un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico”.

In realtà la linea dell’autoinganno di Renzi risulta ancora più paradossale. Si vorrebbe, infatti, che qualcuno riuscisse a nuotare nel mare magnum di una economia sempre più globalizzata con entrambi i piedi immersi in un blocco di cemento a tiraggio rapido, ossia i costi proibitivi imposti dallo Stato burocratico e assistenziale. E dato che tali costi il buon Renzi ha provveduto irresponsabilmente ad appesantire, l’Italia è destinata inesorabilmente ad andare a fondo. I numeri e le tendenze tutto questo ci indicano da tempo. La Penisola sta letteralmente morendo di fisco ma il sol dell’avvenire che si è installato sopra il cielo di Palazzo Chigi sembra illuminare un’altra storia, fatta di straordinari risultati e, soprattutto, di chiacchiere col turbo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14