Se i due Le Pen, padre e figlia, poi litigano

Da uno come Marco Follini che ha sempre tenuto a mostrare un profilo da intellettuale prima che da politico, ci si aspetterebbe di più. Ieri l’altro è apparso un suo articolo su “L’Huffington Post” nel quale commentava lo strappo tra Marine Le Pen e suo padre Jean-Marie. Francamente la sua analisi lascia perplessi: nell’estrema destra francese ci sarebbe in giro un vecchietto che rompe le scatole alla giovane arrembante figliola, lei vorrebbe rifarsi il look democratico e invece, a causa del padre molesto, rischia di trovarsi risucchiata in un passato scomodo e impresentabile. Domanda: è tutto qui quello che Follini ha compreso della rottura in atto nella destra radicale transalpina? Non è abbastanza.

Il Front National è attraversato da un processo di revisione storico-ideologica profondo che merita di essere seguito con attenzione. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la questione dell’antisemitismo che in Francia, paese storicamente antisemita, è particolarmente sentita. Jean-Marie, in un’intervista, ha confermato le sue idee negazioniste sull’Olocausto. Marine da tempo non è sulla medesima posizione. Al contrario, la politica del suo Front National ha virato decisamente verso le posizioni sostenute da Israele in materia di diritti alla sicurezza del popolo ebraico e di contrasto all’avanzata dell’islamismo politico. Ma non è l’unica differenza tra i due. Jean-Marie si pone come l’epigono di una corrente di pensiero nostalgica per il tramontato spirito imperialista francese.

Jean-Marie è figlio del poujadismo, che nella Francia della Quarta Repubblica, difendeva il fortino dei ceti medi tradizionali dall’avanzata trionfale del capitalismo fordista. I compagni d’arme di Jean-Marie sono i reduci dell’Oas, l’organizzazione militare segreta che propugnava nei primi anni 60 dello scorso secolo, la difesa a oltranza del colonialismo dopo la perdita dell’Indocina francese e dell’Algeria. La difesa appassionata del Maresciallo Philippe Pétain e del Governo di Vichy, evocata da Jean-Marie, riguarda la condivisione del contenuto progettuale nella costruzione della nazione europea al fianco della potenza egemone dell’epoca: il Reich germanico, piuttosto che l’occupazione militare hitleriana della Francia. Le letture di Jean-Marie probabilmente sono quelle delle opere di Pierre Drieu la Rochelle, Maurice Bardèche, Robert Brasillach, Léon Degrelle, Louis-Ferdinand Céline. Tutti liquidati dalla letteratura del “politicamente corretto” come autori filonazisti.

Marine Le Pen è altro. Accanto al leitmotiv delle politiche securitarie, nei suoi discorsi si riflettono le idee dei filosofi della nuova destra francese del secondo novecento. A cominciare da quell’Alain de Benoist che il nostro Matteo Salvini ha voluto al suo fianco in una delle prime uscite pubbliche, lo scorso anno, da segretario della Lega. Di de Benoist ne ha parlato ieri sul nostro giornale Luca Bagatin. Marine, con de Benoist, e Salvini, lancia la sfida al mondialismo quale esito catastrofico di un capitalismo globale negatore, per i propri interessi espansionistici, delle differenze tra i popoli, della cultura delle comunità territoriali e del diritto alla difesa delle frontiere nazionali. La politica di Marine, come anche le ultime elezioni amministrative dimostrano, facendo aggio sulla crisi indotta dalle politiche di austerity volute a Bruxelles, ha rotto gli steccati del blocco sociale frontista, fatto di commercianti, artigiani e dipendenti pubblici, per spostarsi nelle terre incognite dei bacini operai della sinistra e nelle sacche urbane della disoccupazione sistemica.

I due Le Pen non sono più compatibili in un medesimo contesto politico. Ce n’è abbastanza, dunque, per scommettere su un’imminente dipartita del fondatore dalla sua creatura. Perché il gioco, e il partito, è tutto nelle mani di Marine.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14