
In occasione della commemorazione dei martiri delle foibe, lo scorso 10 febbraio, il governo italiano ha conferito una medaglia alla memoria del capitano Paride Mori. Su input della sinistra radicale, dei comitati antifascisti e del solito circo mediatico di regime, la presidente della Camera Laura Boldrini ha montato una sceneggiata dicendosi del tutto estranea alla decisione e contraria a celebrare un repubblichino di Salò.
Il governo composto da invertebrati, invece di difendere la legittimità della scelta, si è detto pronto a revocare l’onorificenza concessa, scusandosi preventivamente per l’errore compiuto. Paride Mori era un soldato italiano, non un carnefice. Al contrario. I torturatori e i feroci criminali delle bande titine il capitano Mori li ha combattuti fino al supremo sacrificio della vita. E oltre, visto che i suoi assassini, non paghi di averlo ucciso, ne oltraggiarono il cadavere. Lui, ufficiale in servizio presso il mitico Ottavo Reggimento Bersaglieri, l’8 settembre del ‘43 giorno della resa, era a Verona. Avrebbe potuto darsela a gambe come fecero tanti suoi commilitoni. Paride Mori, invece, scelse di difendere i confini orientali dell’amata patria dalla furia dei comunisti jugoslavi. Con un gruppo di volontari dell’Ottavo, reinquadrati nel battaglione bersaglieri “Benito Mussolini”, venne inviato nell’alta valle dell’Isonzo dove diede filo da torcere ai nemici, impedendogli di prendere Trieste.
Sono proprio i ragazzi di Mori gli eroi ricordati per quel famoso “non vogliamo il cambio”, simbolo di assoluta dedizione alla causa dell’integrità territoriale della nazione. Mori ha combattuto sotto la bandiera della Repubblica di Salò perché credeva nel sacro vincolo della difesa della patria in una zona che era stata inondata, oltre vent’anni prima, dal sangue di più di un milione di italiani. Per il suo eroismo venne insignito della medaglia d’argento al valore militare, alla memoria. Nella storia della popolazione istriano-dalmata di etnia italiana, il suo sacrificio occupa un posto d’onore. Per questa ragione i discendenti di quei martiri dimenticati avrebbero voluto tributargli un sentito riconoscimento.
Purtroppo, non avevano fatto i conti con la presenza, incistata nelle stanze del potere, dei nipotini dei sodali nostrani di quel criminale senza scrupoli che fu Josip Broz Tito. Costoro si dicono scandalizzati per la scelta di ricordare un eroe della parte avversa. L’accusa è che il governo avrebbe ceduto sui princìpi inderogabili per compiacere l’opposizione. Sul fronte della memoria storica, gli odierni partigiani non sono disposti a mollare di un centimetro i loro pregiudizi. E perché poi dovrebbero visto che su quei pregiudizi hanno costruito la loro fortuna politica? I rappresentanti della destra dovrebbero averlo compreso. In tempi di rancida melassa buonista, ciò che la sinistra mostra è solo finzione, la sostanza resta ben ancorata al più odioso veterocomunismo. Essa si compiace di guardare indietro. E di odiare.
Per gli epigoni di quella storia il passato non tramonterà mai perché si attualizza costantemente grazie all’individuazione di sempre diversi nemici da abbattere. Di nuovi roghi da alimentare. Di avversari da umiliare dall’alto di una pretesa superiorità morale. È sufficiente ascoltarli nelle uscite pubbliche. L’espressione ricorrente che hanno sulle labbra, a proposito di chi non la pensa come loro, è: “Si vergogni”. Come se il non essere della loro stessa pasta sia ragione costitutiva di una minorità ontologica. Cosa si può sperare da questa sinistra che non conosce il senso alto e nobile della vera pietas? Nulla di commendevole. Non si scorge luce di verità e di giustizia sotto le pittoresche bandiere arcobaleno.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11