Libia, l’idea monca del blocco navale

È una idea monca quella del blocco navale avanzata dall’inviato delle Nazioni Unite, Bernardino Leon, impegnato nella ricerca di un accordo tra i governi libici antagonisti di Tripoli e Tobruk in funzione anti-Isis. L’idea è monca perché non spiega quale dovrebbe essere l’obiettivo del blocco navale che l’Italia, con il mandato dell’Onu ed insieme ad altri Paesi africani ed europei, dovrebbe realizzare di fronte alle coste libiche.

Un blocco navale, infatti, normalmente serve ad impedire che il Paese a cui viene imposto possa avere traffici navali di qualsiasi tipo in entrata ed in uscita. Può essere utilizzato, come fa la Marina israeliana di fronte a Gaza, per impedire che dalla Striscia possano uscire terroristi diretti contro i porti e le città rivierasche d’Israele e, al tempo stesso, per bloccare rifornimenti di armi alle milizie presenti nella Striscia.

Ma l’eventuale blocco navale della Libia proposto dall’inviato Onu Leon non sembra indirizzato a fermare i terroristi ed i rifornimenti di armi. Sembra diretto solo ed esclusivamente a fronteggiare il flusso di immigrati (Leon ha ipotizzato dal mezzo milione al milione di disperati presenti in Libia e pronti al grande salto verso le coste italiane). Fronteggiare, come, però? Per fermare il flusso rimandando i barconi ai porti di partenza o per soccorrere i migranti in mare e garantire una sempre più sicura accoglienza in Italia?

L’ipotesi che il blocco serva a respingere l’invasione del milione di disperati appare del tutto irrealizzabile. Al primo affondamento di un barcone respinto si scatenerebbe il putiferio. Ed il governo Renzi non si può permettere un rischio del genere. Ma se il blocco, come ha lasciato credere il ministro Paolo Gentiloni, dovrebbe servire a realizzare una riedizione dell’operazione “Mare Nostrum” allargata alle Nazioni Unite, il risultato sarebbe altrettanto demenziale. Perché creare una cortina navale di fronte alla Libia per intercettare in mare i migranti raddoppierebbe i costi di Mare Nostrum, moltiplicherebbe i flussi di clandestini ed assicurerebbe una rendita altissima a quei criminali che trafficano in carne umana e che gestiscono con ferocia le partenze dei barconi.

Nelle sue due versioni, quindi, il blocco navale proposto da Leon è un’idea non solo monca ma anche tragicamente fasulla. Che non serve a nulla, tranne che a sprecare risorse e ad arricchire le organizzazioni criminali degli scafisti.

Perché, allora, visto che il blocco navale è comunque un atto di ostilità, non pensare di creare una enclave minima in un porto libico dove creare centri di accoglienza e da dove far partire un regolare servizio di traghetti su cui trasportare profughi già censiti e controllati?

Non si tratta di rimandare i bersaglieri a Tripoli. La creazione della testa di ponte dovrebbe essere concordata con i due governi libici. Si tratta, però, di essere realisti. Per rendere il più possibile meno dispendiosa e più controllata l’accoglienza!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:15