La guerra delle toghe contro la giustizia

Prima Craxi, poi Berlusconi, adesso Renzi. La guerra continua. Quella che la casta dei magistrati sta portando avanti ormai da più di due decenni con indomabile determinazione ed in nome di un concetto di legalità che nel tempo ha assunto sempre più un significato diverso e divergente dal concetto di giustizia.

Le polemiche seguite all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario celebrata nelle Corti d’Appello italiane ha confermato che il conflitto, non più ventennale ma risalente addirittura agli anni Settanta dello scorso secolo, è più virulento che mai. Da Milano a Palermo, da Perugia a Roma sono partite raffiche di bordate che hanno ricordato come le ostilità continueranno a produrre i loro effetti ancora per lungo tempo. Almeno fino a quando non solo la classe politica ma il Paese riottoso non si saranno convertiti alla concezione della legalità stabilita dalla casta.

L’aspetto più inquietante di questo scontro infinito è che agli occhi almeno di una parte della magistratura, comunque di quella che più alza la voce e più pesa, il nemico da battere non è un sistema giudiziario che per ammissione generale non riesce più a produrre giustizia. E non è neppure la classe politica incapace di correggere le distorsioni e realizzare una riforma radicale del sistema. Il nemico è il Paese stesso. Che agli occhi della casta ha vizi e tare responsabili di produrre emergenze continue da contrastare ed eliminare con misure altrettanto emergenziali. Quello, poi, che, proprio a causa di queste tare e di questi vizi, continua ad assicurare il potere decisionale a uomini e partiti che non riconoscono alla casta dei magistrati un’autorità superiore insindacabile ed inattaccabile.

L’effetto di questa lotta di potere tra magistratura e politica sono sotto gli occhi di tutti. Ed è la paralisi di un paese che avrebbe bisogno non di restrizioni di libertà prodotte da lotte per il predominio ma dall’esatto opposto. I risultati poi della idea della legalità come strumento salvifico dei difetti antropologici degli italiani e della pratica delle continue legislazioni emergenziali non sono stati brillanti. Anzi, se si esclude la lotta al terrorismo degli anni Settanta, sono stati decisamente fallimentari. Trent’anni di antimafia condotta all’insegna della sola repressione non sembrano essere riusciti a cancellare il fenomeno mafioso. Che si è esteso dalla Sicilia e dalle altre regioni meridionali al resto del Paese. Come Mafia-Capitale insegna. E vent’anni di Mani Pulite e di legislazione giustizialista non solo non hanno bloccato il malaffare e la corruzione ma hanno prodotto una vera e propria epidemia di tangenti, mazzette, criminalità.

L’inaugurazione dell’Anno Giudiziario avrebbe dovuto essere l’occasione per l’ammissione di questi fallimenti. E per la presa d’atto che tale lunga fase di legalità giustizialista è riuscita soltanto a creare una cappa di piombo che opprime e schiaccia il paese e trasforma i cittadini in vittime indifese di un sistema malato. Purtroppo non è stato così. La guerra continua. Quella dei magistrati contro la giustizia giusta.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:16